Sant’Angelo in Formis e la funzione delle immagini nell’arte cristiana
L’Abbazia di Sant’Angelo in Formis è un fulgido esempio dell’importanza delle immagini nell’arte cristiana medievale.
A lungo dibattuta tra i fedeli, la funzione delle immagini nell’arte cristiana è andata assumendo una valenza didattica. Leonzio, vescovo di Neàpolis in Cipro, scriveva infatti: “Io rappresento Cristo nelle chiese e nelle case, sulle pubbliche piazze e sulle immagini, sulla tela, nelle cantine, sugli abiti, in tutti i luoghi, perché vedendole, ci ricordiamo… Poiché noi cristiani, possedendo le immagini di Cristo, è Cristo stesso e i suoi martiri che baciamo interiormente” (PG 98, 1600). Ancor più chiaro fu San Giovanni Damasceno (Adversus eos qui sacras imagines abiciunt, PG 94, 1320, 1245): “Se noi facessimo un’immagine del Dio invisibile, saremo certamente in errore […] Ma noi non facciamo questo. Non sbagliamo se facciamo l’immagine del Dio incarnato apparso sulla terra e nella carne, che, nella sua bontà ineffabile, è vissuto con gli uomini ed ha assunto la natura, lo spessore, la forma ed il colore della carne […]. Un tempo Dio, non avendo corpo né forma, non si poteva rappresentare in alcun modo. Ma poiché ora è apparso nella carne ed è vissuto fra gli uomini, posso rappresentare ciò che di lui è visibile. Non venero la materia, ma il creatore della materia”. I dipinti e le sculture che rapiscono lo sguardo del credente costruiscono un discorso visualizzato che arriva al cuore con maggiore efficacia delle parole. L’arte cristiana arriva così ad esprimere il senso del trascendente rendendo visibile l’invisibile. Il prodotto dell’operazione artistica, davanti ai nostri occhi, è concreto, ma ci trasmette un messaggio più profondo. La questione fu controversa e sorsero numerose posizioni contrastanti al punto che San Gregorio Magno indirizzò una dura lettera a Sereno, Vescovo di Marsiglia, in cui si legge: “Ci è giunta notizia che, infiammato da zelo sconsiderato, avresti distrutto, con la scusa che non si devono adorare, le immagini dei santi. E per quanto abbiamo lodato il tuo divieto di adorarle in verità biasimiamo che tu le abbia infrante. Una cosa infatti è adorare una pittura, un’altra è apprendere, attraverso il soggetto della stessa pittura, ciò che si deve adorare. Infatti, ciò che la scrittura mostra a coloro che sanno leggere, la pittura lo mostra gli ignoranti che la guardano, poiché in essa anche gli ignoranti possono vedere ciò cui devono aspirare, e in essa possono leggere anche coloro che non conoscono le lettere. Cosicché, particolarmente per il popolo, la pittura serve da lezione” (Epistulae, CI, 13). L’ultima voce l’ebbe il secondo Concilio di Nicea (PG 136, 24-34): “Noi deliberiamo, con ogni cura e diligenza, che – come la preziosa e vivificante Croce – le venerande e sante immagini – in pittura, o in mosaico o in qualsiasi altra materia – vengano esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sulle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle strade, si tratti dell’immagine del Signore Dio Salvatore nostro Gesù Cristo, o della Santa Madre di Dio, o degli angeli degni di onore, o di tutti i santi e pii uomini. Infatti quanto più esse vengono viste nelle immagini, tanto più coloro che le guardano sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare loro rispetto e venerazione. Non si tratta certo, secondo la nostra fede, di un vero culto di adorazione, che è riservato solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende all’immagine della preziosa e vivificante croce, ai santi vangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi, come era uso presso gli antichi. L’onore resto all’immagine, infatti, passa a colui che essa rappresenta e chi adora l’immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto”.
Questa lunga introduzione è necessaria per comprendere l’importanza degli affreschi di Sant’Angelo in Formis. In questa Abbazia nei pressi di Capua, la pittura meridionale del XI secolo trova il suo episodio più alto. Si uniscono motivi bizantini, carolingi ed ottoniani in un ciclo di affreschi voluti dall’Abate Desiderio che aveva già commissionato quelli dell’Abbazia di Montecassino. Denominata “in formis” per la presenza di numerosi acquedotti nelle sue vicinanze, l’abbazia fu eretta per volere di alcuni principi longobardi sui ruderi del tempio di Diana Tifatina e riedificata nel 1073 quando Desiderio, abate di Montecassino, la ricevette in dono dal principe normanno Riccardo. I lavori furono realizzati secondo lo schema planimetrico messo a punto dall’abate stesso. Presenta un portico ad archi di stile arabo sorretti da colonne i cui capitelli furono forse presi dal tempio pagano come il pavimento, all’interno a tre navate, e i conci di pietra del tozzo campanile a lato. Un’ara romana, rielaborata, ed un capitello medievale fungono da acquasantiere, anche il fonte battesimale è riadattato da colonne antiche. Conclusi, Sant’Angelo in Formis visse una lunga stagione di studi teologici ospitando una comunità di ben quaranta monaci. Come dicevamo sono però le pitture a meritare il nostro interesse.
Esse rivelano chiaramente l’opera di artisti bizantini o di manovalanze locale ispirate agli stilemi d’Oriente. Nella lunetta troviamo un San Michele a fresco dell’anno mille, frontale, bidimensionale, solennemente ieratico, le ali perfettamente aderenti alla forma semicircolare della lunetta, le vesti riccamente decorate, reviviscenza, circa mezzo millennio più tardi, di forme giustinianee. Più su una regale Madonna Orante del XII secolo di altissimo pregio, anch’essa di chiara ispirazione bizantina. L’importante ciclo di affreschi fa della chiesa uno dei monumenti meridionali più significativi. I dipinti mostrano soprattutto il lato umano e drammatico delle storie narrate, per esempio l’Adultera davanti a Cristo o il Bacio di Giuda, ma non tradiscono le formule bizantine col Redentore seduto sul globo e le macchie rosseggianti delle gote sui visi. Negli archi della navata mediana, si vedono a destra e sinistra, episodi della vita di Cristo e nei pennacchi sottostanti figure di Profeti culminanti nel grandioso Giudizio Universale della controfacciata. Alle pareti delle navate sinistra e destra sono dipinte storie del Vecchio Testamento, nell’abside destra c’è una splendida Madonna col Bambino, nell’abside centrale l’Abate Desiderio, arcangeli, San Benedetto e Cristo in trono con i simboli degli evangelisti.
Il Giudizio finale, in particolare, ci permette di chiudere il nostro ragionamento sulla funzione dell’immagine nell’arte cristiana. Esso occupa l’intera controfacciata dell’abbazia e incorpora le tre finestre in alto e il portone d’accesso. E’ evidente la funzione didattica che che esso ha ricoperto in quei secoli. Esso era l’ultima immagine che i fedeli vedevano uscendo dalla chiesa al termine delle funzioni religiose. L’affresco unisce singole scene che raccolgono il cammino escatologico cristiano sino alla risurrezione dei morti. I toni vivaci, la plasticità delle immagini, le caratterizzazioni delle figure concorrono a rendere reale un ciclo pittorico apocalittico che richiama la teofania dell’Apocalisse di Giovanni. Cristo giudice su un trono bizantino riccamente ornato, gli angeli, il corteo degli eletti e quello dei dannati, il Paradiso e l’Inferno, c’è tutta la chiave iconografica dell’insegnamento cristiano che si sforza di indirizzare gli usi e i costumi degli uomini e delle donne in funzione dell’aldilà.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Riferimenti
S. C. Corrente, La Basilica di Sant’Angelo in Formis, Napoli 2001
O. Morisani, Gli affreschi di S. Angelo in Formis, Cava dei Tirreni 1962