L’incendio della Flakturm
La Seconda Guerra Mondiale fu una sciagura epocale: milioni di morti, intere città distrutte, danni incalcolabili. Un disastro ancora vivo nella memoria, nonostante il passare degli anni.
Vittime del conflitto furono anche le opere d’arte.
La storia dell’incendio della Flakturm è particolare, perché avvenne a pochi giorni dalla fine della guerra. Fu un danno incalcolabile per il patrimonio artistico dell’intera umanità.
Vediamo la sua storia.
L’andamento della guerra nel 1940
Nel 1940 la Seconda Guerra Mondiale sembrava andare di successo in successo per la Germania di Adolf Hitler. Dopo aver conquistato la Polonia nel 1939 rivolse l’attenzione a Occidente. Ad aprile fu lanciata l’invasione di Danimarca e Norvegia; in maggio, un altro importante obiettivo, la Francia cadde, dopo una resistenza poco efficace. Sicuro del suo dominio incontrastato in Europa, protetto ad est dal Patto Molotov-Ribbentrop, stipulato con i sovietici, poteva dirigersi con tutte le sue forze verso la Gran Bretagna: l’unica nazione che gli si poteva opporre con una certa efficacia.
Nel luglio 1940 cominciava così la Battaglia d’Inghilterra. Un massiccio bombardamento della Gran Bretagna. Il piano era chiaro: demoralizzata e devastata dalle esplosioni, la nazione di oltremanica si sarebbe arresa oppure sarebbe stata facilmente invasa.
Furono tre lunghissimi mesi. I caccia tedeschi ingaggiarono battaglie nei cieli, i bombardieri tedeschi sganciarono moltissimi ordigni sul Regno Unito: Londra fu squassata, una bomba cadde addirittura su Buckingham Palace distruggendone la cappella; una città, Coventry, diventerà tristemente famosa per la distruzione subìta, tanto da far coniare il termine coventrizzare come sinonimo di distruzione totale.
Ma i britannici resistettero. Ingaggiarono battaglie aeree tremende, sprezzanti del pericolo. E vinsero. Alla fine di ottobre, Hitler ritirò i propri velivoli, rinunciando a invadere la Gran Bretagna. Nel frattempo il dittatore nazista aveva maturato un’altra idea: l’invasione dell’Unione Sovietica. L’Operazione Barbarossa, cominciata il 1° settembre 1940, stava dando i suoi frutti e le armate tedesche apparivano invincibili alla conquista delle terre sovietiche.
Ma c’era un altro problema.
Le Flakturm: formidabili fortezze antiaeree a difesa del Terzo Reich.
Già nell’agosto 1940 gli inglesi avevano cominciato i loro raid sulle città tedesche. Con la cessazione delle incursioni tedesche sulla loro isola, le loro azioni si spingevano sempre più in profondità nel territorio della Germania e la normale contraerea non riusciva a contrastare gli attacchi. Il dittatore nazista sapeva degli effetti deleteri dei bombardamenti sia nelle strutture critiche sia nel morale della popolazione. Al tempo stesso, però, non poteva distrarre le sue forze impegnate a combattere nei vari fronti aperti del conflitto. La mossa più giusta secondo lui era dunque approntare delle difese più efficaci per proteggere le sue città.
A tale scopo furono costruire le cosiddette Flakturm, progettate dall’architetto Friedrich Tamms, collaboratore del ministro e famoso architetto del Reich, Albert Speer.
Era un sistema difensivo basato su due costruzioni in cemento armato molto spesso. Erano alte circa 40 metri: una era la Geschützturm (G-Turm), la torre armata di batterie antiaeree; l’altra la Leitturm (L-Turm), torre che ospitava un radar per individuare i bersagli da colpire. Il loro interno poteva fungere da rifugio antiaereo per circa diecimila persone, quindi parliamo di installazioni davvero imponenti.
L’armamento antiaereo era formidabile: il cannone Flak 40 sparava 11-12 proiettili di 26 kg al minuto con estrema precisione.
Le città dove furono costruite erano alcune fra le più importanti del Reich: Vienna (dove ne possiamo ancora osservare tre), Amburgo (dove ne furono costruite due) e, naturalmente, Berlino. Era previsto di costruirne anche altre a Brema, per proteggerne l’importante porto, ma il progetto non fu portato a termine probabilmente per mancanza di tempo. La capitale del Reich, in particolare, aveva tre torri disposte strategicamente a triangolo: una nel Parco Humboldt, una nel Giardino Zoologico, una nel quartiere Friedrichshain.
La capitale del Reich era al sicuro, almeno apparentemente.
Il patrimonio artistico di Berlino è in pericolo
Berlino, antica capitale prussiana, è di opere di inestimabile valore. Gli imperatori prussiani avevano arricchito con importanti acquisizioni le loro collezioni di arte: i suoi musei erano, e sono ancora, ammirati in tutto il mondo. Con l’infuriare dei bombardamenti apparve chiaro che il patrimonio artistico era in grave pericolo: era prioritario salvarlo.
Inizialmente fu deciso di riporre quadri e statue nei caveau nei sotterranei delle banche e della zecca statale, ma ben presto questa si rivelò una soluzione non insufficiente. Quei luoghi non erano costruiti per resistere alle bombe moderne, oltre ad essere umidi e malsani, perciò poco adatti alla conservazione dei preziosi quanto delicati oggetti.
Si decise perciò di usare le stanze interne delle Flakturme che proteggevano la capitale del Reich, dato che le loro massicce pareti erano progettate per resistere alle potenti esplosioni a cui la capitale del Reich era sottoposta. Nel 1941 moltissime opere furono portate dai vari musei cittadini nelle torri del Giardino Zoologico e di Friedrichshain, credendo che fosse la giusta soluzione. La guerra continuava, ai bombardieri inglesi si erano aggiunti quelli americani che sganciavano regolarmente le loro bombe su Berlino. Neanche le gigantesche torri antiaeree erano considerate più sicure, ormai: perciò si prese la decisione di spostare i beni culturali in luoghi lontano da Berlino.
Ma era un’impresa titanica: nonostante i numerosi convogli per spostare le opere d’arte organizzati fra il 1943 e il 1944, nei primi mesi del 1945 restavano all’interno delle torri antiaeree qualcosa come 735 metri cubi di beni artistici.
In quel periodo tutto precipitò. La guerra per i tedeschi era perduta. L’Armata rossa ormai circondava quasi del tutto Berlino: fuggire diventava una missione sempre più impossibile.
Fra marzo ed aprile si organizzarono gli ultimi dieci trasporti per far uscire da quell’inferno più manufatti artistici possibili. Non fu un’impresa facile: per esempio un convoglio che trasportava il Tesoro dei Guelfi, una collezione d’arte risalente al Sacro Romano Impero, fu bersagliato dall’artiglieria e molti oggetti andarono distrutti o furono pesantemente danneggiati. Ma, l’impegno non bastava: ancora molto restava immagazzinato nelle Flakturme.
La caduta di Berlino
Il 21 aprile 1945 i russi completarono l’accerchiamento della capitale tedesca. Berlino era in trappola, niente e nessuno poteva entrare od uscire. Il 2 maggio, due giorni dopo il suicidio di Hitler, fu firmata la capitolazione. Della capitale del Reich restava ormai un cumulo di macerie, i suoi abitanti erano allo sbando e alla mercé dei suoi conquistatori.
Fra le priorità, restava il problema delle opere d’arte.
A questo proposito gli addetti ai musei tedeschi presero contatto con le autorità militari sovietiche, nell’intento di salvaguardare quanto di bello restava nella Berlino distrutta dalla guerra.
In particolare, il professor Kümmel si precipitò dal generale russo Besarin nel suo quartier generale di Karlshorst per perorare la causa dei beni artistici ancora stipati nelle Flackturme. Il pericolo adesso non erano le bombe o le artiglierie, ma gli sbandati e i predoni.
Il sopralluogo del 5 Maggio verificò che le porte erano ancora chiuse, ma anche che, ovviamente, non c’era più nessun sorvegliante a montare la guardia. Ma i russi non sentivano ragioni: non volevano porre alcuna guardia davanti nel luogo, avevano altre preoccupazioni. Fu soltanto due giorni dopo, dietro nuove e pressanti richieste, che si decisero a provvedere a tutelare le opere contenute nelle Flackturme.
Ma era troppo tardi…
7 Maggio 1945: una catastrofe per l’arte mondiale
All’arrivo dei sorveglianti si dovette constatare un avvenuto disastro. Nella notte un devastante incendio divampò nella torre di Friedrichshain partendo dal primo piano.
Ancora oggi non sono chiare le dinamiche dell’accaduto, si ipotizza che uno o più berlinesi abbiano trovato rifugio lì dentro e abbiano acceso il fuoco per riscaldarsi durante la notte. Presto le fiamme si propagarono a tutto l’edificio distruggendo tutto quello che incontravano. La stessa struttura, che ricordava un’enorme canna fumaria, favorì l’evento infausto.
La mattina del 7 maggio si comprese con desolazione che tutto era perduto. Fu presa immediatamente la decisione di sgomberare la Flakturm posta nello Zoo, per evitare altre perdite.
Christopher Norris, storico dell’arte inglese inviato dalla Commissione Alleata per i Monumenti e le Arti (i “Monuments men”, anche ricordati in un recente film), visitò le rovine fumanti pochi giorni dopo. Nei suoi resoconti narra quanto vide: un cumulo di cenere, oggetti metallici praticamente fusi, frammenti di vasi e statue sparsi ovunque. Guardando in su vide il cielo. Il calore era stato talmente forte che aveva incenerito i soffitti di cemento armato: la torre appariva come una gigantesca canna fumaria
Uno sfacelo totale.
Alcuni mesi dopo Norris visitò di nuovo la struttura e vi trovò persone accampate dentro. Chiunque poteva prendere quello che voleva, era tutto nell’incuria più totale. Fu solo nel 1946, quando gli occupanti sovietici decisero di demolire la torre, ormai inutile e pericolante, che si riuscì a recuperare qualcosa, perlopiù frammenti o oggetti di piccole dimensioni.
Cosa è andato perduto?
Il già ricordato Christopher Norris definì l’evento come «il più grande disastro artistico della storia moderna, dopo la distruzione del Real Alcázar di Madrid» che era avvenuto nel 1734.
Che cosa abbiamo perduto per sempre? Difficile dirlo: sicuramente migliaia di oggetti mancano all’appello.
I quadri, com’è ovvio per il materiale in cui sono fatti, furono inceneriti tutti. Andarono distrutti molti capolavori, fra cui alcuni Rubens e Goya. Oltre ad essi, più di 400 dipinti provenienti dall’Italia sono andati in fumo.
Fra gli artisti italiani che possiamo menzionare figurano nomi del calibro di Caravaggio, Domenico Beccafumi, Andrea Del Sarto, Domenico Ghirlandaio, Filippino Lippi, solo per citare i più famosi. Particolarmente grave fu la perdita proprio per quanto riguarda il Caravaggio: sono andati persi per sempre il Ritratto di Cortigiana, Cristo sul Monte degli Ulivi e San Matteo e l’Angelo.
Non sapremo mai quanto abbiamo perduto, di molte opere non restano che le foto su qualche libro, di altre neanche quello, ma ormai non possiamo farci niente.
La sola speranza che abbiamo è non assistere di nuovo a questi scempi, anche se, lo vediamo anche in tempi recenti, possiamo osservare come ancora molti beni culturali di varia natura vadano tristemente di mezzo nel corso di un conflitto.
Autore: Leonardo Conti, senese, tecnico informatico, coltiva passioni molteplici e variegate. Fin dall’infanzia è un appassionato lettore e scrittore di racconti, poesie e articoli e colleziona penne stilografiche e giraffe.
Fonti: The Disaster at Flaturm Friedrichshain; A Chronicle and List of Paintings, in The Burlington Magazine, vol. XCIV, n. 597, dicembre 1952, articolo dello stesso Cristopher Norris che ricorda la vicenda anni dopo.
https://www.jstor.org/stable/870940