Il protestantesimo nei Regni di Napoli e Sicilia nel Cinquecento

La storia del protestantesimo nei Regni di Napoli e Sicilia è ancora in larga parte sepolta negli archivi. Dagli studi pubblicati traiamo poche notizie.

Messina, a metà Cinquecento, era uno dei principali centri di attività dei calvinisti nel Mediterraneo, testimonianza ne è il processo al cavaliere Filippo Campolo, sostenitore della predestinazione. Scalpore destò anche la notizia che, nel monastero di San Placido di Calonerò, i benedettini seguivano gli insegnamenti nicodemiti: qualcuno di essi riuscì a fuggire a Ginevra, altri furono torturati e condannati. Palermo, negli stessi anni, conosceva i roghi di Francesco Vicino, Andrea Lanza, Giovanni Gigliuto e Corneli Giancardo, indicati come luterani. In città tutto ruotava attorno a nobili francesi e mercanti fiamminghi e tedeschi.

Non mancano i casi di siciliani che scelsero di fuggire a Ginevra e continuare a vivere secondo i canoni del protestantesimo. E’ il caso del messinese Francesco Tudesco, di Francesco Scardino di Nicosia e di Cesare Lancarbeni di Noto. Processi e condanne si registrarono nei centri di Mandanici, Santa Lucia, Gela, Pagliara, San Pietro di Monforte, Randazzo e Taormina.  Qualcosa di simile accadde a Siracusa e Noto, dove una comunità protestante si sviluppò attorno ai temi della negazione del purgatorio, dell’intercessione dei santi, del primato del Papa, del valore dell’eucarestia, ed a Catania, dove in sessantasette furono condannati alla frusta ed alla galera nel marzo del 1569 e poi perdonati, altri erano già stati bruciati nel luglio del  1551 (S. Caponetto, Il calvinismo del Mediterraneo).

A quanto pare la miccia fu accesa da chi poté frequentare il circolo di Valdes a Napoli e da elementi protestanti presenti nell’Ordine dei minimi di San Francesco di Paola. Per esempio il nobile messinese Bartolomeo Spadafora giunse a Napoli nel 1535, al seguito di Carlo V, ed entrò in contatto coi circoli valdesiani. Accusato di eresia dall’Inquisizione siciliana, ottenne l’assoluzione dal Papa Paolo III, ma dovette comunque trovare riparo a Venezia dove continuò a coltivare le sue idee inducendo Papa Paolo IV ad ordinarne l’arresto.

Nel Regno di Napoli, la ramificazione protestante si estendeva dalla Capitale sino alla Calabria. Alla morte di Valdes, a Napoli i suoi seguaci diffondono il suo pensiero in modi differenti. Alcuni si mossero lungo il filone dell’evangelismo cattolico, altri caddero nella dottrina riformata. Ben nota è la vicenda di Gian Galeazzo Caracciolo, Marchese di Vico, che raggiunse Ginevra mentre altri suoi compagni scelsero di abiurare il protestantesimo; decisamente meno noto è il rogo di libri di Lutero, Melantone ed Erasmo che si levò davanti al Duomo di Napoli nel 1543. Nuovi roghi si ripeterono nel 1572, nel 1587 e nel 1610. In questi anni si sviluppano circa duecento processi per delitto contro la fede, i cui documenti si conservano nell’Archivio Storico Diocesano di Napoli.

La Calabria invece conobbe la tragica fine delle colonie valdesi provenienti dalla bassa Val Pelice nel 1561  quando oltre 2000 seguaci di Valdo furono massacrati a Guardia Piemontese, San Sisto e Montalto in una caccia organizzata dal Viceré Parafan de Ribera, Duca di Alcalà. Una lettera descrive l’orribile sorte di chi aveva aderito al protestantesimo: “Ora occorre dir come oggi a buon’ora si è ricominciato a far l’orrenda iustizia di questi Luterani, che solo il pensarvi è spaventevole: e così sono questi tali come una morte di castrati; li quali erano tutti serrati in una casa, e veniva il boia e li pigliava a uno a uno, e gli legava una benda avanti agli occhi, e poi lo menava in un luogo spazioso poco distanle da quella casa, e lo faceva inginocchiare, e con un coltello gli tagliava la gola, e lo lasciava così: dipoi pigliava quella benda così insanguinata, e col coltello sanguinato ritornava pigliar l’altro, e faceva il simile. Ha seguito quest’ordine fino al numero di 88; il quale spettacolo quanto sia stato compassionevole lo lascio pensare e considerare a voi.(…) Ora essendo qui in Mont’Alto alla persecuzione di questi eretici della Guardia Fiscalda, e Casal di San Sisto, contro i quali in undici giorni si è fatta esecuzione di 2000 anime; e ne sono prigionieri 1600 condannati; et è seguita la giustizia di cento e più ammazzati in campagna, trovati con l’arme circa quaranta, e l’altri tutti in disperazione a quattro e a cinque: brugiate l’una e l’altra terra, e fatte tagliar molte possessioni” (Narrazioni e documenti sulla Storia del Regno di Napoli, 1846).

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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