La battaglia di Milazzo descritta dal generale Giacomo Medici
Traiamo le memorie che seguono dalla pubblicazione “La battaglia di Milazzo narrata dal generale Giacomo Medici”, preziosissimo documento edito a Cremona nel 1883.
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Non era intenzione, come dissi, del generale Garibaldi di dare battaglia in quel giorno, nondimeno essendosi impegnati oltre misura in un vivo fuoco gli avamposti della sinistra, si estese gradatamente agli avamposti di tutta la linea. Garibaldi ordinò di farli sostenere da nuove catene di cacciatori; spediva il Generale Cosenz a prendere il comando della sinistra; quello di destra l’aveva affidato a me; egli dirigeva il tutto, rimanendo principalmente verso la destra dalla quale dovevasi fare lo sforzo maggiore. La sinistra chiese rinforzi e si mandarono dalla riserva.
Staccai il maggiore Migliavacca con due compagnie all’estrema destra, onde sloggiasse il distaccamento nemico che occupava il caseggiato del mulino: operazione che venne da quell’ufficiale compiuta brillantemente.
Questo ottenuto, abbiamo spinto innanzi arditamente l’at tacco fino a pochissima distanza dell’estrema sinistra nemica, ove il combattimento si fece ostinatissimo e molto micidiale.
Le nostre cariche erano arrestate da fitti canneti dietro i quali il nemico, coperto da un muro, quasi a bruciapelo ci fulminava.
Le nostre perdite si facevano assai gravi ed il gran numero dei feriti e degli addetti al trasporto di essi, assottigliava di molto le nostre file.
Dalla sinistra s’insisteva nel chiedere rinforzi, sicchè poco o nulla rimaneva di disponibile della nostra riserva. Da questo lato, l’attacco spinto innanzi sulla strada verso Milazzo fu ricevuto e rintuzzato dall’artiglieria e dai cacciatori appostati nelle case, ne più venne rinnovato, che anzi gran parte delle truppe raccolte, fu trattenuta indietro nel villaggio di S. Pietro.
Il combattimento durava cosi da più ore sotto un sole cocente: la gente stanca ed assetata cominciava a scorarsi. Erano le 2 pom.; la nostra linea di destra presentava la forma come se avesse preso per perso il Palazzo di S. Pietro, avesse fatta una conversione a sinistra, tagliando cosi al nemico la possibilità di ritirata verso Messina. Fu allora che con Garibaldi si diviso di far arrivare sul terreno del combattimento il battaglione Dunn, due compagnie in soccorso dell’ala sinistra e le altre due là dove più ferveva la pugna, cioè alla destra, e si fece prendere posizione ai due pezzi da campagna.
Garibaldi stabili inoltre che con alcuni bersaglieri, scavalcando muri laterali alla strada, sarebbe andato a collocarsi in posizione donde con inaspettati colpi infilare la strada che ostinatamente occupava il nemico, aprirsi un varco, raggiungere la spiaggia e recarsi a bordo del Tukery; e ch’io dovessi riunire quanta più gente potessi, per fare contemporaneamente impeto sulla strada stessa e cosi forzare il nemico alla ritirata.
Il che ci riuscì completamente, perocchè appena Garibaldi fece aprire il fuoco sul fianco nemico, questi ne fu scosso e Garibaldi poté scendere nella strada, sulla estrema sinistra nemica.
Per aprirsi la via al mare, egli con pochi de’ suoi, ebbe qui a combattere corpo a corpo con una pattuglia di dragoni Borbonici.
L’assenza di Garibaldi in quei momenti decisivi aveva fatto spargere l’allarme ch’egli fosse prigioniero; ma io giudicando dal rallentarsi del fuoco nemico che il Generale erariuscito nel suo intento, diedi il grido di «Avanti che Garibaldi è già entrato vittorioso in Milazzo!». Al grido mio fu risposto con altro grido d’entusiasmo e tutti ci spingemmo arditamente sulle posizioni nemiche. Al rivolto della strada ci scontrammo coi borbonici che presi di fianco, indietreggiarono, abbandonando due pezzi d’artiglieria ch’erano su di essa.
Il tratto di strada che noi dovevamo percorrere inseguendo il nemico per arrivare alle mura di Milazzo, era in tutta la sua lunghezza infilato dalle artiglierie della fortezza, mentre dalle mura e da barche lungo la spiaggia e nel Porto, ci veniva cosi vivo fuoco di moschetteria che rendeva micidialissimo l’avanzare. Tentai imporne alla linea di cacciatori con alcuni spari dei nostri due piccoli pezzi, ma e per la breve portata di essi e perchè mal serviti, furono di nessun effetto. Comunque, condussi innanzi le mie truppe, che con insuperabile coraggio, sotto pioggia di scaglia e palle, non si arrestarono che oltre un piccolo ponte, oltrepassato il quale s’incontrano a sinistra, la strada che scende da S. Pietro e le case del Borgo ove era appoggiata l’ala destra nemica, le quali vennero da me fatte occupare e messe in stato di difesa.
Eravamo alle porte di Milazzo. – La battaglia fuori diMilazzo, sebben con gravissime perdite era vinta. Mi molto rimaneva ancora a fare.
La città di Milazzo è cinta da mura. Nel centro ergesi la cittadella con esteso dominio, armata di molte artiglierie che infilano le principali strade, il porto e le campagne circostanti.
Il nemico aveva raccolto tutti i suoi distaccamenti; si teneva compatto sulla difesa ed era per numero più forte di noi.
La nostra gente sparpagliata nelle campagne veniva poco a poco raccogliendosi intorno al nucleo cl’era con me a pochi passi dalle porte di Milazzo, al punto sopra indicato. – Fui sorpreso di non incontrarvi la testa di colonna della nostra sinistra, che qualora avesse spinto l’attacco simultaneamente, avrebbe dovuto precederci, poichè non aveva a percorrere che uno dei lati minori del rettangolo, mentre noi ne avevamo percorso due dei maggiori.
Come si disse più sopra, Garibaldi erasi recato a bordo del vapore da guerra il Tukery, aveva girata la punta del promontorio ed era sbarcato sulla spiaggia del mare; aveva raggiunto Cosenz e preparava l’attacco delle mura di Milazzo da quella parte che cosi formava la nuova nostra ala sinistra.
Frattanto raccolti i varj gruppi isolati, studiava come penetrare in Milazzo dalla destra.
Continuo era il fuoco fra le case da me occupate e le case e mura della città. Fu in questo momento che una palla venne a colpire in fronte il distinto Maggiore Filippo Miglia vacca, che durante tutto il combattimento in campo aperto, dove erasi segnalato per coraggio ed intelligenza superiore ad ogni elogio, era stato rispettato dalle palle nemiche. Poco prima, lungo la strada era stato pure ferito in petto il prode e distintissimo colonnello Clemente Corte.
Deciso di entrare ad ogni costo in Milazzo, spedii ajutanti di campo nelle varie direzioni per affrettare l’arrivo della gente, che per molta stanchezzi si trovava ancora dispersa e riuscii cosi a formare un insieme di circa 600 uomini. Di questi ne diedi un centinaio circa al Colonnello Missori ed al Maggiore Guastalla coll’ordine, che camminando lungo la spiaggia del mare tentassero di penetrare nella città da quella parte, mentre io avrei assalite le porte. Il nemico oppose debole resistenza e di contrada in contrada in misura del mio avanzare, esso andava ripiegando fin dentro il forte, che spazzava con mitraglia la via da noi percorsa.
Giunti cosi per la strada principale ai piedi del Forte, feci immediatamente occupare le estreme case che gli stavano intorno; feci costruire una solida barricata che chiudesse lo sbocco principale e girando tutto intorno con fossi e parapetti, le uscite furono chiuse per modo da togliere ogni agevolezza di sortita al nemico, se mai gliene fosse venuto, il talento.
Feci allora montare sul mio cavallo il Colonnello Missori, poichè recasse a Garibaldi la notizia che Milazzo era presa.
Garibaldi come dissi, sbarcato dal Tiikery, aveva raggiunto il generale Cosenz ed insieme si adoperavano per assalire Milazzo dal lato settentrionale; fu in quella circostanza che il Generale Cosenz fu colpito da una palla nemica, con leggera ferita al collo. Garibaldi montato nuovamente a bordo del Tukery e non sapendo ancora del mio ingresso a Milazzo, aveva ordinato di girare intorno alla penisola e prendere posto all’imboccatura del Porto per cooperare all’assalto. Ma appena seppe Milazzo presa, venne a raggiungermi. Era già sul fare della notte; approvò tutte le disposizioni da me date ed ordinava di rinforzare con nuove barricate il cerchio da me posto intorno al Forte.
La nostra posizione anche dopo questa seconda vittoria non era delle più tranquillanti. Messina racchiudeva ancora 15 mila uomini, i quali con due tappe potevano portarsi in Milazzo; la squadra nemica poteva a sua volta presentarsi dinnanzi al Porto ed il Forte conteneva pur sempre circa 6 mila uomini. A tante forze noi potevamo contrapporre soltanto 3 mila uomini; v’era serio pericolo di diventare assediati, da assedianti che eravamo.
Fortuna volle che i borbonici di Messina non si movessero e che ripiegassero sulla città anche i distaccamenti avanzati ch’erano al Gesso e sulle alture circostanti. Da parte nostra si raccolsero i volontari ch’erano rimasti nelle campagne, nonchè quelli di Miri e d’altri punti: arrivarono pure alcuni battaglioni freschi spediti per via di terra e per mare da Palermo e con essi il Generale Sirtori Capo dello Stato Maggiore.
Eravamo però sempre minacciati dalla squadra nemica. Il Tukery come dissi, doveva contornare la penisola: la stessa sera della presa di Milazzo, si presentò bensi, ma accolto da alcuni colpi di cannone della fortezza, mise di nuovo la prora in fuori e tranquillamente si disponeva verso l’alto mare; il che visto da Garibaldi, vi spediva il Capitano De Rohan, per che gli ordinasse di ritornare nel Porto. – Ritornava il De Rohan portatore di risposta che quasi significava un rifiuto.
Garibaldi irritatissimo vi spediva il Colonnello Cenni ed altri ufficiali coll’ordine che ad ogni costo facessero ritornare il Tinkery in Porto: e questa volta venne. Al Comandante, chiamato alla propria presenza, Garibaldi tolse la spada e disse tali dure parole, che peggio erano della fucilazione che al mo mento stesso, ei voleva si eseguisse. Il Tukery portava un pezzo di grosso calibro e la posizione presa, mentre lo teneva defilato dall’artiglieria del Forte, gli dava facoltà di tirare contro le navi nemiche che si fossero presentate. Garibaldi fece sbarcare dal Tukery i pezzi di minore portata e li mise in batteria su altri punti della spiaggia. E cosi stavamo sulla difesa dal lato del mare.
Il nemico rinchiuso nel Forte, in numero sproporzionato alle vettovaglie in esso accumulate, difettava inoltre d’acqua; vedendosi precluso ogni scampo, tranne la speranza dell’arrivo della squadra, aveva sospeso il fuoco ed inclinava venire a patti; ma Garibaldi ne proponeva di troppo duri e non furono accettati.
Duravano da due giorni queste pratiche, quando ad un tratto si presentò la squadra nemica che venne a collocarsi in modo da battere la città. Scese nondimeno qual parlamentario il Colonnello Anzani; egli chiedeva fosse fatta facoltà alla guarnigione di potersi imbarcare con armi e bagaglio. – Garibaldi trovò conveniente allora (benchè si facesse pregare) di concedere ciò che sarebbe stato impossibile rifiutare.
La Fortezza venne consegnata e ritrovammo numero… cannoni, munizioni, viveri, quantità di muli e cavalli, compresi quelli del generale Bosco, degli ufficiali del suo Stato Maggiore e seguito.