Storia del Cristianesimo: la beata Beatrice I d’Este
“Na Beatritz d’Est, lo bes qu’en vos es / fa melhoirar las autras ab lors bes”. Con queste parole nel 1220 Aimeric de Pegulhan cantava Beatrice d’Este.
Figlia del marchese Azzo VI d’Este e di Sofia di Savoia, Beatrice nacque verosimilmente nel Castello di Calaone intorno all’anno 1192. Di grande bellezza, caratteristica peraltro comune tra le ragazze atestine anche al giorno d’oggi, passò l’infanzia tra le feste ed i balli che caratterizzavano la corte estense. La sua vita però, non fu quella spensierata di una principessa e già nel 1202 Beatrice fu costretta a piangere la morte della madre. Non si sarebbe trattato del solo lutto che l’avrebbe afflitta, nel 1212 perse il padre, seguito tre anni dopo dal fratello maggiore Aldobrandino.
È possibile che i rapporti col fratellastro Azzo VII e la matrigna Alice di Châtillon fossero caratterizzati da reciproca freddezza ed un indizio di ciò potrebbe essere la decisione di Beatrice di chiedere che le venissero consegnate le 5000 Lire che sua madre aveva portato in dote in occasione del suo matrimonio e che il padre le aveva legato per testamento. Il denaro, sotto forma “di beni stabili, ragioni et attioni”, fu consegnato l’8 novembre 1216 da Ottolino, Comandadore del Podestà di Padova Folco de Guarini, ad Aicardino da Monselice, Procuratore di Beatrice.
È anche probabile che Azzo VII intendesse “monetizzare” la sorellastra attraverso un matrimonio politico col cugino Guglielmo Malaspina. Il progetto tuttavia non andò mai in porto perché nel 1220 Beatrice scelse di fare un “pio ladroneccio di se medesina” scegliendo di ritirarsi nel Convento di Santa Margherita sul monte Salarola, dove un gruppo di religiose donne seguiva la Regola Benedettina.
Nel 1221 ottenne da Giordano, Vescovo di Padova, il permesso di trasferirsi con tutte le religiose nell’abbandonato Convento di San Giovanni Battista sul Monte Gemmola, facendolo restaurare a proprie spese. Nonostante nascita e ricchezza le dessero il diritto, Beatrice non cercò mai di diventare badessa, le era stata offerta la posizione al momento del suo ingresso, restando una semplice monaca benedettina fino alla sua morte avvenuta il 10 maggio 1226.
Immediatamente dopo, Beatrice divenne, per la sua scelta di vivere all’insegna dell’umiltà, oggetto di devozione popolare, devozione che aumentò ulteriormente quando, in occasione della traslazione delle sue spoglie in un sarcofago marmoreo, queste furono trovate incorrotte.
Il minuscolo monastero sul Gemmola continuò ad esistere fino al 1578, anno in cui il Vescovo di Padova Federico Corner lo soppresse, incorporando le monache a quelle di Santa Sofia a Padova ed ordinando quindi il loro trasferimento. Questo fu effettuato materialmente il 23 novembre. Reverende madri e giovani professe abbandonarono di buon mattino il loro colle scendendo fino al villaggio di Cinto dove presero posto sui burchielli che, navigando sul Bisatto, le avrebbero condotte sino a Santa Sofia. Il viaggio fu lungo, le religiose giunsero a destinazione solo alle ore 17, e disagevole, tormentato per tutto il tempo da un terribile fortunale e poco mancò che finisse in tragedia. Infatti giunte al Pigozzo, immediatamente dopo Battaglia, la flottiglia che trasportava le religiose rischiò di svanire nelle limacciose acque del Bisatto a causa del cedimento dell’argine.
Nonostante venisse popolarmente già considerata beata, Beatrice dovette aspettare fino al 19 novembre 1763 per vedere, finalmente, riconosciuto il proprio culto da Papa Clemente XIII. Negli anni successivi la comunità di Este chiese più volte il ritorno delle spoglie di Beatrice nella sua città natale, ma solo nel 1956 il desiderio degli atestini fu soddisfatto e il corpo della santa fu collocato chiesa di Santa Tecla in Este.
Ed il convento sul Gemmola? Dopo il trasferimento delle religiose a Padova, l’edificio rimase abbandonato per decenni fino a quando non fu acquistato, verso il 1657, dal mercante veneziano Francesco Roberti, che lo trasformò in una villa di campagna con annessa azienda agricola. La villa subì vari passaggi di proprietà fino al 1972, anno in cui fu acquistata dal Consorzio per la Valorizzazione dei Colli Euganei che provvide al restauro destinando gli ambienti a sede del Museo Naturalistico dei Colli Euganei.
Autore articolo: Enrico Pizzo, classe ’74, residente sui Colli Euganei. Appassionato di storia veneta e storia dei sistemi monetari preunitari.
Bibliografia: Bruno Cogo, “Alla scoperta del Duomo di Este”; Francesco Selmin, “Este – Due secoli di storia e immagini”; Gaetano Nuvolato, “Storia di Este e del suo territorio”; Roberto Valandro, “I secoli di Monselice”