La nascita dei sindacati in Italia
Le prime forme di associazione dei lavoratori sorsero in Gran Bretagna durante la rivoluzione industriale già sul finire del Settecento. In Italia bisognò aspettare ancora quasi un secolo per vedere i primi sindacati. Dal Novissimo Digesto italiano traiamo questa ricostruzione della storia delle origini delle associazioni sindacali italiane scritta da Luisa Riva Sanseverino.
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Il lavoratore, che la Rivoluzione francese aveva reso libero, ma isolato, si rese sempre maggiormente conto che come fosse soprattutto nella solidarietà politica e, più ancora, nella solidarietà professionale che egli poteva trovare il mezzo per resistere efficacemente alla “dittatura contrattuale” del datore di lavoro. D’altra parte lo Stato, dopo aver severamente proibito e combattuto le associazioni professionali, fu via via portato, sotto la spinta dei movimenti socialisti, a tollerarle e poi a riconoscerle, accompagnando quindi questo suo intervento, che può qualificarsi come intervento indiretto, a un intervento diretto nel campo del lavoro, realizzantesi nella cosiddetta legislazione protettiva o sociale.
Nei confronti di altri Paesi europei come l’Inghilterra, la Francia e la Germania, il movimento per la libertà sindacale venne sviluppandosi con notevole ritardo in Italia, dove nella prima metà del secolo scorso il problema dell’unificazione nazionale ebbe netta prevalenza; la necessità di sostanziali riforme sociali fu tuttavia ben presente alla mente di Giuseppe Mazzini ed anche a quella di Carlo Pisacane.
La Società dei tipografi di Torino fondata nel 1848 per iniziativa di Vincenzo Steffenone viene citata come il primo esempio di una organizzazione sindacale: questo, anche se in tale periodo il movimento operaio prende consistenza soprattutto sotto forma di società di mutuo soccorso, 130 delle quali, riunitesi a Roma nel 1871, redassero un Manifesto sociale di ispirazione mazziniana, continuando poi a svilupparsi, tanto che assommavano a 6844 quando furono ammesse al riconoscimento giuridico da una legge del 1896,
Anche in Italia il movimento operaio si innesta principalmente sul movimento socialista: la costituzione, nel 1882, del Partito operaio, ispirato al sindacalismo inglese e privo di tendenze rivoluzionarie, diede impulso alle cosiddette “organizzazioni di resistenza” he si ritenevano più adatte delle mutue alla tutela della classe lavoratrice. Mentre il Partito operaio, superato il suo esclusivo riferimento ai lavoratori manuali, si trasforma (1892-93) in Partito socialista dei lavoratori italiani, negli ultimi anni del secolo scorso ha inizio il vero e proprio movimento sindacale, accompagnato, al principio, da manifestazioni per così dire insurrezionali, quali i Fasci siciliani (1892-93), i moti di Massa-Carrara (1893-94) e di Milano (1898).
Le Camere del lavoro cominciarono ad essere costituite intorno al 1891, la prima a Piacenza e la seconda a Milano: esse si posero subito su di un piano analogo all’assistenza sindacale e, in particolare, al collocamento. Un primo congresso tenuto a Parma già nel 1893 portò alla fondazione di una Federazione italiana delle Camere del lavoro, con sede a Milano: in seguito, e nonostante un certo contrasto tra la tendenza regionale e quella nazionale, si potè giungere relativamente presto, anzitutto ad un coordinamento delle organizzazioni locali in federazioni nazionali di categoria, e poi ad un coordinamento delle varie federazioni nazionali con la fondazione a Torino (1-X-1906), per iniziativa della Federazione italiana operai metallurgici (FIOM) e con l’adesione di circa 700 leghe comprendenti circa 250.000 soci, della Confederazione generale del lavoro (CGL).
L’art.1 dello statuto della CGL affermava che la Confederazione intendeva “disciplinare la lotta della classe lavoratrice contro il regime capitalistico della produzione del lavoro”; e l’at. 3 chiariva che “la Confederazione curerà la direzione generale assoluta del movimento proletario, industriale e contadino, al disopra di qualsiasi distinzione politica”. Al congresso confederali di Modena (1908) si vollero tuttavia precisare i rapporti con i vari partiti e, dopo vivaci dibattiti, fu accettata la formula Zirardini dell’adesione “al Partitosocialista e a quegli altri partiti che accettano il metodo della lotta di classe”.
Al prevalente indirizzo riformista della CGL non aderiva una corrente sorelliana (facente capo alla Camera del lavoro di Parma), la quale nel 1911 determinò una scissione da cui sorse l’Unione sindacale italia (USI), ispirata all’azione diretta (sciopero generale) ed all’antiparlamentarismo, di cui furono esponenti Filippo Corridoni, Alceste De Ambris, Benito Mussolini, Edmondo Rossoni e che, alla fine del 1913, contava 1903 leghe con 101.729 soci.
A questi movimenti, tutti riconducibili ad una ispirazione comunque socialista, si era venuto contrapponendo un movimento cristiano: i congressi cattolici dell’epoca, e specialmente quelli di Bergamo (1877) e di Lucca (1887), si limitavano tuttavia ad auspicare una valorizzazione delle Casse operaie di mutuo soccorso, fiorenti anche negli ambienti cattolici, ed una loro eventuale trasformazione in istituzioni corporative. L’Encliclira Rerum Novarum emanata da Leone XIII il 20 maggio 1891 rappresentò la Carta del movimento sociale di ispirazione cattolica: tra l’altro, essa riconobbe l’utilità e l’importanza delle organizzazioni professionali, sebbene composte da soli lavoratori e contrapposte, quindi, ai datori di lavoro singoli od organizzati.
Il movimento sociale cristiano, che anche in Italia era astrattamente orientato verso una organizzazione della società per classi e che, in quanto tale, ebbe il suo teorico in Giuseppe Toniolo, cominciò a dar luogo a vere e proprie organizzazioni sindacali solo all’inizio del nostro secolo: nel 1909 tali organizzazioni furono coordinate dal Segretariato generale delle associazioni professionali, avente sede a Bergamo.