Le galee romane e i corsari della Guerra di Successione Spagnola

Nel 1707, mentre infuriava la guerra tra Borbone e Asburgo, una peste colpì le coste nordafricane fermando le scorrerie dei corsari barbareschi. Furono allora le potenze rivali nella Guerra di Successione Spagnola a scatenare la guerra di corsa, rilasciando patenti ai navigli delle città isolane e portuali. Ciò creò non pochi problemi all’approvvigionamento di Roma.
Tre grosse feluche provenienti dall’isola di Lipari furono acciuffate dalle galee romane capeggiate dall’anconetano Francesco Maria Ferreti. Il tribunale di Civitavecchia decretò il sequestro dei legni, ma anche il congedo dell’equipaggio. Poco dopo altri quattro feluconi usciti in mare per prestar soccorso ai compagni che non erano rientrati, furono fermati dall’ascolano Rodolfo Malaspina e conobbero la stessa sorte delle altre navi liparesi.

Diversamente si comportò il Malaspina con un grosso pinco marsigliese di venti cannoni e centoventi uomini presentatosi nelle acque di Santamarinella. Scrive il Guglielmotti che il capitano pontificio, uscito in mare con la galea San Benedetto, “parlamentò col capitano, espose le ragioni e gli esempi, e lo indusse ad allontanarsi, facendo il suo saluto di sette colpi di cannone, e contentandosi di quattro per risposta”.

Una politica di due pesi e due misure che ben evidenziava le condizioni della marina papalina. Le piccole imbarcazioni conobbero tutte le cattura, il sequestro e il congedo degli equipaggi, le più grandi, che troppo impegno e rischio sarebbero costati, furono sempre raggiunti da una galera romana ed esortate ad allontanarsi dopo aver salutato lo stendardo pontificio.

Nonostante questo le navi romane dettero anche prove di grande valore. Nel 1709, quando il duca di Uceda, ambasciatore spagnolo presso la corte pontificia, riparò con le sue navi a Portoferraio, durante una tempesta, si ritrovò con la capitana con l’albero distrutto, bloccato in quel porto dai corsari di Flessinga. Gli olandesi volevano catturarlo, ma furono le galee romane a far saltare i loro piani: salpata da Livorno la Padrona, con un albero di ricambio, due pezzi d’antenna e parecchi remi, riuscì a rompere il blocco olandese e a liberare l’Uceda, accompagnandolo poi sino a Marsiglia.

Il perdurare del conflitto e i danni della guerra corsara ai commerci marittimi, produssero qualche problema nell’approvvigionamento di Roma, così, con l’apprestarsi dell’inverno del 1712, la marina pontificia allestì due navi da impiegare a protezione dei commerci. Contavano venti cannoni ciascuna, altrettanti petrieri, centoventi uomini tra marinai e soldati. Le guidò a Lorenzo Cadolini col luogotenente Michele Balzarini. Scrive il Guglielmotti che “ambedue in poco tempo resero grandi servigi alla navigazione ed al commercio in questa parte dell’Italia centrale: e non soltanto agli statisti, ma pure ai regnicoli, ai toscani, ai liguri, ed a tutti i naviganti del Tirreno. I trafficanti napoletani si assembravano a Gaeta: e quando il Cadolini co’ due Corsieri passava pel golfo di Terracina, quelli in frotta venivano a mettersi sotto la sua protezione, pregandolo di scorta; ed egli, senza niuna mercede, li menava sicuri al Tevere, a Civitavecchia, a Livorno, ed oltre: e faceva altrettant al ripasso coi ligui e coi toscani”.

Quello stesso anno Orbetello passò agli austronapoletani e questi, armate tre galee ed un barcaccione da trenta cannoni, provarono a prendere anche Monte Argentario e Porto Ercole. Accadde che, il 24 aprile, innanzi il porto di Santo Stefano, tre galee napoletane fermarono il convoglio del Cadolini, composto di otto bastimenti, quattro romani, tre liguri, uno livornesi, diretti a Civitavecchia e Roma. Solo l’11 maggio, dopo perquisizini, controlli, arresti e sequestri, discussioni col generale Valex e col capitano Fuencalada, furono lasciate andare.

Fu questa l’ultima avventura delle galee romane coi corsari della Guerra di Successione Spagnola.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: A. Guglielmotti, Storia della Marina Pontificia: gli ultimi fatti della squadra romana da Corfù all’Egitto

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