La pittura di Ambrogio Lorenzetti

Ultimo straordinario protagonista della stagione pittorica trecentesca di Siena è Ambrogio Lorenzetti. Affiancato da suo fratello Pietro, fu pittore di scuola giottesca, lavorò presso l’Arte dei Medici e degli Speziali di Firenze, nel 1327. Sviluppò un suo personale stile in cui le figure venivano ridotte a preziosi arabeschi decorativi, modellati nello spazio mediante il chiaroscuro giottesco, ma sinuosi nelle linee dei contorni. Eccezionale è il ciclo di affreschi del Buon Governo e del Mal Golverno, nella sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena.

Realizzato tra il 1337 ed il 1339, questo ciclo si snoda lungo tre pareti del vasto salone. Le prime due sono occupate dalle allegorie del Buon Governo e dei suoi effetti sulla città e sulla campagna, la terza ospita, i nstato assai deteriorato, l’allegoria del Mal Governo e quella dei suoi effetti. L’importanza di questo ciclo è che esso rappresenza una delle prime e più compiute espressioni di un arte civile e non religiosa.

Gli affreschi hanno un contenuto tutto politico. Da un lato la tirannia, guercia e cornuta, che, circondata di vizi, calpesta la giustizia. Dall’altro il governo senese, giusto e pacifico, sostenuto dalla volontà dei suoi cittadini. I Nove così esaltarono il loro potere.

L‘Allegoria del Buon Governo presenta un complicato intrecciarsi di figure simboliche secondo uno schema impostato sulle teorie filosofiche di San Tommaso d’Aquino col Buon Governo rappresentato da un vecchio saggio – vestito di biano e nero, colori dell ostemma di Siena, la balzana – assiso su un trono sotto le figure alate della Fede, della Speranza e della Carità. Alla destra del trono siedono Prudenza, Fortezza e Pace, alla sinistra ci sono Magnanimità, Temperanza e Giustizia. A sinistra c’è nuovamente la Giustizia con un libro e la bilancia, presso i cui piatti stanno due angeli, il primo incorona un cittadino e ne decapita un altro (la legge penale), il secondo che arma un cittadino e pone monete in una cassa (la legge civile). Appare pure un corteo di ventiquattro consiglieri senesi che reggono due lunghi cordoni che la Concordia, seduta ai piedi della Giustizia, porge loro. Tali cordoni si dipartono simbolicamente dai due piatti della bilancia e stanno a significare come ciascun cittadino debba essere legato all’altro da una concorda volontà di pace e giustizia. Emerge allora anche un gioco di parole: Concordia rimanda a concordes, da cum e cor, cordis “uniti nel cuore” a cui il pittore rimanda cum chordis, “con le corde”.

 

E’ un’opera politica mediante la quale l’oligarchia senese rappresentò se stessa come governo forte e giusto. Ma è nell’allegoria sugli Effetti del Buon Governo in città e in campagna che emerge la straordinaria fantasia medioevale di Ambrogio Lorenzetti.

L’affresco, lungo circa quattordici metri, rappresenta nella metà sinistra la città di Siena, e nella destra, il suo contado. E’ la prima volta che nella pittura gotica italiana viene usato il paesaggio come soggetto principale. La città è irta di torri in muratura e splendidi palazzi. Maestri muratori, contadini, pastori, mercanti llustrano l’operosità degli abitanti. Ogni vicolo pullula di uomini e donne indaffarati, alcune fanciulle danzano al suono di un tamburello. Sono gli effetti positivi del Buon Governo che si irradiano anche nella campagna con campi ordinati, boschi rigogliosi, colline verdi. Non c’è qui realismo, il Lorenzetti preferisce trasformare la vita quotidiana e trasportarla in una dimensione fiabesca.

Le restanti opere, rovinate e perciò non facilmente leggibili, mostrano un Mal Governo impersonato da un uomo in cotta di maglia che siede in trono calpestando la Giustizia. Lo circondano Crudeltà, Perfidia, Frode, Ira, Discordia e Guerra, mentre nel cielo campeggiano le figure demoniache di Tirannide, Avarizia e Vanagloria. Le conseguenze del malgoverno in città in campagna sono poi rappresentate con violenze, stupri, rovine, saccheggi…

L’allegorismo che si sublima in questo importante documento di pittura civile gotica suscitò l’ammirazione dei contemporanei di Lorenzetti. Il Ghiberti lo preferì per questo al Martini e lo definì “altrimenti dotto che alcuno degli altri”, il Vasari lo chiamò “gentiluomo e filosofo”. Morì probabilmente nella terribile peste del 1348 che uccise due terzi della popolazione di Siena, distruggendone, la floridezza economica e la grande fioritura pittorica.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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