La pittura di Gentile da Fabriano e del Pisanello
“Nel dipingere aveva avuto la mano simile al nome”, questo avrebbe detto di lui il grande Michelangelo. La sua pittura è veramente gentile, elegante e ricca cromaticamente. Gentile da Fabriano si formò in ambiente lombardo. Qui entrò a contatto con la cultura gotica e di essa divenne uno dei più qualificati interpreti. La sua fama fu tale che tutte le corti d’Italia richiedevano i suoi servigi e così tracce profonde si contano a Milano, Venezia, Brescia, Roma, Siena e Firenze. Quando lo colpì la morte, nel 1427, a Roma, era al culmine della sua maturità artistica e stava lavorando agli affreschi della Basilica di San Giovanni in Laterano. A succedergli nell’impegnativo ciclo degli affreschi fu un suo allievo, il Pisanello. I due pittori toccarono le più alte vette stilistiche del gotico internazionale, dando voce alla società cavalleresca del Medioevo.
E’ sicuramente L’Adorazione dei Magi l’opera che meglio condensa l’ingegno di Gentile da Fabriano. Datata 1423, è una tempera su tavola. Gli fu commissionata da Palla Strozzi, uno dei più ricchi mercanti fiorentini, che intese collocarla nella cappella di famiglia, nella Chiesa di Santa Trinita a Firenze. Racchiuso in una cornice di tre archi a tutto sesto, sormontati da elaborate cuspidi durate, questo lavoro mostra i magi almeno due volte. La prima, in lontananza, alla testa di un lungo corteo di cavalieri e servitori. La seconda, in primo piano, mentre porgono i loro doni al Signore Gesù.
In effetti la tavola ha bisogno d’esser letta come un romanzo cavalleresco. La narrazione inizia entro la lunetta sinistra, coi magi che stanno sbarcando, e prosegue in quella centrale, col corteo che si inerpica lungo una strada tortuosa. Alla sua testa, i Magi si dirigono in una città – nella lunetta destra -, vi entrano, superano un ponte levatorio per uscirne dalla parte opposta ed intraprendere una discesa lungo un sentiero incassato tra sponde rocciose. Il percorso si conclude con l’omaggio al fruppo divino. Il lavoro guadagna profondità ma in realtà si svolge su un piano obliquo, privo di scalature prospettiche. Evitando la linea retta, Gentile da Fabriano elimina decisione e forza e ottiene grazia.
Sorprende la straordinaria quantità e qualità dei particolari. Di fatti ogni figura è un’opera d’arte a sé e, nella visione d’insieme, il dipinto diviene una somma di tante viste parziali, nelle quali linee e colori convergono in un elaborata decorazione. Il broccato dei Magi, i ricchi copricapi dei cavalieri e dei falconieri, i ricami delle aureole, tutto concorre a questo gioco. Eguale meticolosa attenzione è riservata al paesaggio, tanto da dipingere precisi alberi di melograno, campi coltivati, corsi d’acqua e città turrite.
Antonio di Puccio Pisano detto il Pisanello, nacque a Pisa nel 1395, ma, a seguito della morte del padre, venne condotto dalla madre a Verona. Fu qui in Veneto che maturò la sua preparazione artistica. A Venezia fu allievo di Gentile da Fabriano, ne apprese il gusto e i segreti pittorici, e fu lui a succedergli nell’impegnativo ciclo degli affreschi romani di San Giovanni in Laterano. Purtroppo oggi quest’opera, commissionata da papa Martino V, è scomparsa. L’ultima sua patria fu la Napoli di Alfonso V d’Aragona, dove spirò nel 1455. Fu un eccellente medaglista, ma l’opera che lo lascia apprezzare maggiormente è conservata a Verona, nel Museo di Castelvecchio, proveniente dalla Chiesa di Santa Anastasia. Parliamo dell’affresco San Giorgio e la principessa.
Come il suo maestro, sublima l’ideale cavalleresco in una narrazione carica di particolari. E’ abile nel disporre le figure su più piani e nel trasmettere un senso di malinconia fibesca nell’emotività pensosa dei personaggi. Vi vediamo il santo che si appresta a salire a cavallo dopo aver salvato la principessa dal leggendario drago. Colpisce lo splendido drappeggio degli abiti del cavaliere che tiene già il piede sinistro sulla staffa e si accinge a spiccare il balzo. Tutto è osservato con minuzia, la città, ricca di torri e guglie, i campi, divisi da siepi. Sullo sfondo ci sono pure due impiccati, dai realistici colli slogati – uno addirittura coi pantaloni abbassati -, che completano l’immagine della società in tutti i suoi aspetti. E’ un’opera gotica pure nelle architetture che colmano l’orizzonte. Stupendo è il volto della principessa, forte di una regale eleganza. Chi è quella donna? Forse Maria Comnena di Trebisonda, moglie di Giovanni VIII Paleologo. A sinistra appare una barca: San Giorgio, cavaliere della cristianità, ha liberato Costantinopoli dal suo drago, i turchi del sultano Murad II. L’affresco è quanto resta di un complesso più vasto, e certe interpretazioni possono fondarsi solo su supposizioni.
Autore articolo: Angelo D’Ambra