Vittorio Bottego e l’esplorazione del Corno d’Africa
Traiamo da G. Civinini, Sotto le piogge equatoriali, questo breve profilo dell’esploratore parmigiano Vittorio Bottego.
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Nel ciclo di cinque anni Vittorio Bottego compie infatti due viaggi che hanno del prodigio. Attraverso tutte le ostilità e gli agguati che gli oppongono le genti selvagge fra cui s’avventura con scarsi mezzi e con un pugno d’uomini, attraverso tutte le insidie che l’implacabile terra africana gli tende come a voler difendere il suo mistero dagli sguardi del bianco, soffrendo per mesi e mesi la fame e la sete, le torride arsure e gli spaventosi uragani tropicali, squassato dalle febbri, scarnito dalle fatiche, ridotto uno spirito e una volontà chusi fra solide ossa e dura pelle, Vittorio Bottego risale e riconosce nel 1892, primo bianco che riesca a compiere l’impresa, tutto il corso del Giuba. Nessun romanzo di avventure esotiche vale la soldatesca semplicità del diario che egli fece di quel viaggio. Nelle scuole, bisogna portare quel libro.
C’era ancora un gran fiume sconosciuto, il cui segreto da gran tempo appassionava viaggiatori e geografi: il miserioso Umi o Omo, che scendendo dai monti di Enarea si perdeva poi nell’ignoto. Sulla sua defluenza si facevano le più contraddittorie congetture. Taluno lo riteneva un affluente del Nilo, altri sostenevano che convogliasse le sue acque verso l’Oceano Indiano. E finahcè Bottego non ebbe rivelato nella sua prima spedizione che il Giuba risulta dalla confluenza dell’Ueb, del Ganale e del Daua, molti avevano sostenuto che esso non fosse che il corso superiore e principale del Giuba stesso.
Vittorio Bottego ha la sua meta. E’ questo il mistero che egli romperà. Con l’aiuto della nostra Reale Società Geografica, allora presieduta con grande intelletto di scienziato e ardente passione di italiano dal Marchese Giacomo Doria, riparte. Dalla costa della Somalia ferocissima riprende la via dell’interno sconosciuto. L’accompagnano il tenente di vascello Lamberto Vannutelli, il capitano Carlo Citerni, il dottor Maurizio Sacchi, in Somalia si unisce alla spedizione il capitano di mare Ugo Ferrandi. Risalito il Giuba, e lasciato il Ferrando pochi fucili e una bandiera nella remota Lugh perchè la tenga in nome dell’Italia…, in un anno e mezzo la spedizione attraversa il paese dei Borana, risale il Daua fin verso le sorgenti, ritrova nel cimitero indigeno del villaggio di Burgi la sepoltura recente di Don Eugenio Ruspoli, scopre il lago Abbaja o Pagadè e lo battezza col nome italico di Margherita regina nostra, si getta per le selvagge montagne che fronteggiano il contrapposto massiccio del Caffa, del Ghera, del Limmu, ritrova nel cuore di esse il fiume ricercato, lo discende fra le accanite ostilità dei nativi e sfuggendo a una spedizione scioana che lo persegue; finchè una grande chiara immota distesa di acque le si scopre davanti. E’ il lago Rodolfo. In essa l’Omo ha la sua foce e muore, poichè il Rodolfo è un bacino chiuso, che non ha emissari. Il secolare segreto è rivelato. Esplorato il lago – il più velenoso, il più micidiale di tutti i laghi equatoriali- su tutta la sua riva occidentale, la spedizione risale verso nord fino alle torride paludi in cui dalla riunione dell’Upeno e d’altri fiumi fino allora sconosciuti si forma il maestoso Sobat, il più grande affluente del Nilo Bianco dopo l’Azzurro, risale l’Upen oa cui dà il nome dell’Ammiraglio di Saint Bon, dal bassopiano riprende verso oriente la via dei primi contrafforti dell’altipiano etiopico.
La grande impresa è ormai compiuta, il complicato sistema idrografico dell’Abissinia meridionale e sud-occidentale non ha più segreti. Ma il tradimento attende gli audaci sulla via del ritorno, quando già il volto della Patria sorride al loro pensiero. Il 16 marzo del 1897, un anno dopo Adua, Vittorio Bottego cade alla testa di quel pugno di neri fedeli che s’era trascinato dietro con l’esempio, accanto ai suoi due compagni italiani…; cade, combattendo con furia leonina per tentare di aprirsi un varco fra le soldatesche scioane che l’avevano accerchiato durante la notte.
Vittorio Bottego cadde, ma Vannutelli e Citerni dopo esser rimasti lunghi mesi prigionieri di quegli scioani, accoppiati con le stesse catene a due schiavi negri, ritornarono e parlarono per lui: e il fiume che scroscia già dai monti di Enarea avviandosi fra selvagge strette di rocce e di boschi verso il rivelato mistero della sua foce nell’ardente pace del Rodolfo, ebbe per sempre il nome di Omo Bottego.