Lorenzo de Medici descritto dal Machiavelli
“Le istorie fiorentine” contengono una coincisa descrizione della figura di Lorenzo de Medici ed una esplicativa idea di quanto Machiavelli l’avesse in considerazione per il mantenimento degli equilibri politici in Italia.
***
… i Fiorentini, finita la guerra di Serezana, vissero insino al MCCCCXCII, che Lorenzo dei Medici morì, in una felicità grandissima; perchè Lorenzo posate l’armi d’Italia, le quali per il senno ed autorità sua s’erano ferme, volse l’animo a far grande sè e la città sua, ed a Piero suo primogenito l’Alfonsina, figliuola del cavaliere Orsino, congiunse; dipoi Giovanni suo secondo figliuolo alla dignità del cardinalato trasse. Il che tanto fu più notabile, quanto fuora d’ogni passatò esempio, non avendo ancora quattordici anni, fu a tanto grado condotto. Il che fu una scala da poter fare salire la sua casa in cielo, come poi nei seguenti tempi intervenne. A Giuliano, terzo suo figliuolo, per la poca età sua e per il poco tempo che Lorenzo visse, non potette di strasordinaria fortuna provvedere. Delle figliuole, l’una a Iacopo Salviati, l’altra a Francesco Cibo, la terza a Piero Ridolfi congiunse; la quarta, la quale egli, per tenere la sua casa unita, aveva maritata a Giovanna de’ Medici, si morì. Nell’altre sue private cose fu quanto alla mercatanzia infelicissimo; perchè per il disordine dei suoi ministri, i quali non come privati, ma come principi le sue cose amministravano, in molte parti molto suo mobile fu spento; in modo che convenne che la sua patria di gran somma di denari lo sovvenisse. Ondechè quello per non tentare più simile fortuna, lasciate da parte le mercantili industrie, alle possessioni, come più stabili e più ferme ricchezze, si volse. E nel Pratese, nel Pisano ed in Val di Pesa fece possessioni, e per utile e per qualità di edifizi e di magnificenza, non da privato cittadino, ma regio. Volsesi dopo questo a far più bella e maggiore la sua città: e perciò sendo in quella molti spazi senza abitazioni, in essi nuove strade da empiersi di nuovi edifizi ordinò; ondechè quella città ne divenne più bella e maggiore. E perchè nel suo stato più quieta e sicura vivesse, e potesse i suoi nimicì discosto da sè combattere e sostenere, verso Bologna nel mezzo delle Alpi il castello di Fiorenzuola affortificò. Verso Siena dette principio ad instaurare il Poggio Imperiale e farlo fortissimo. Verso Genova, con l’acquisto di Pietrasanta e di Serezana, quella via al nimico chiuse. Di poi con stipendi e provvisioni manteneva suoi amici i Baglioni in Perugia, i Vitelli in Città di Castello, e di Faenza il governo particolare aveva; le quali tutte cose erano come fermi propugnacoli alla sua città. Tenne ancora in questi tempi pacifici sempre la patria sua in festa; dove spesso giostre e rappresentazioni di fatti e trionfi antichi si vedevano; ed il fine suo era tenere la città sua abbondante, unito il popolo, e la nobiltà onorata. Amava maravigliosamente qualunque era in una arte eccellente; favoriva i litterati; di che messer Agnolo da Montepulciano, messer Cristofano Landini e messer Demetrio greco ne possono rendere ferma testimonianza. Ondechè il conte Giovanni della Mirandola, uomo quasichè divino, lasciate tutte le altre parti della Europa ch’egli aveva peragrate, mosso dalla magnificenza di Lorenzo pose la sua abitazione in Firenze. Dell’architettura, della musica e della poesia maravigliosamente si dilettava. Molte composizioni poetiche, non solo composte, ma comentate ancora da lui appariscono. E perchè la gioventù fiorentina potesse negli studi delle lettere esercitarsi, aperse nella città di Pisa uno studio, dove i più eccellenti uomini, che allora in Italia fussero, condusse. A frate Mariano da Chinazzano; dell’ordine di Sant’Agostino, perchè era predicatore eccellentissimo, un munistero propinquo a Firenze edificò. Fu dalla fortuna e da Dio sommamente amato; per il che tutte le sue imprese ebbero felice fine, e tutti i suoi nimici infelice; perchè, oltre a Pazzi, fu ancora voluto nel Carmine da Batista Frescobaldi, e nella sua villa da Baldinotto da Pistoia ammazzare; e ciascuno d’essi, insieme con i consci dei loro segreti, dei malvagi pensieri loro patirono giustissime pene.
Questo suo modo di vivere, questa sua prudenza e fortuna fu dai principi non solo d’Italla, ma longinqui da quella con ammirazione cognosciuta e stimata. Fece Mattia re d’Ungheria molti segni dell’amore gli portava. Il Sol dano con suoi oratori e suoi doni lo visitò e presentò. Il gran Turco gli pose nelle mani Bernardo Bandini, del suo fratello ucciditore. Le quali cose lo facevano tenere in Italia mirabile. La quale riputazione ciascuno giorno per la prudenza sua cresceva; perchè era nel discorrere le cose eloquente ed arguto, nel risolverle savio, nell’eseguirle presto ed animoso. Nè di quello si possono addurre vizi che maculassero tante sue virtù, ancorachè fusse nelle cose veneree maravigliosamente involto, e che si dilettasse d’uomini faceti e mordaci, e di giuochi puerili, più che a tanto uomo non pareva si convenisse; in modo che molte volte fu visto intra i suoi figliuoli e figliuole tra i loro trastulli mescolarsi. Tantochè a considerare in quello e la vita leggera e la grave, si vedeva in lui essere due persone diverse quasi con impossibile cognizione congiunte. Visse negli ultimi tempi pieno di affanni causati dalla malattia che lo teneva maravigliosamente afflitto, perchè era da intollerabili doglie di stomaco oppresso, le quali tanto lo strinsero, che di aprile nel MCCCCXCII morì, l’anno XLIV della sua età. Nè morì mai alcuno non solamente in Firenze, ma in Italia, con tanta fama di prudenza, nè che tanto alla sua patria dolesse. E come dalla sua morte ne dovesse nascere grandissime rovine, ne mostrò il cielo molti evidentissimi segni; intra i quali, l’altissima sommità del tempio di Santa Reparata fu da un fulmine con tanta furia percossa, che gran parte di quel pinnacolo rovinò con stupore e maraviglia di ciascuno, Dolsonsi adunque della sua morte tutti i suoi cittadini e tutti i principi d’Italia; di che ne fecero manifesti segni, perchè non ne rimase alcuno, che a Firenze per suoi oratori il dolore preso di tanto caso non significasse. Ma se quelli avessero cagione giusta di dolersi, lo dimostrò poco dipoi l’effetto; perchè restata Italia priva del consiglio suo, non si trovò modo per quelli che rimasero, nè d’empiere nè di frenare l’ambizione di Lodovico Sforza governatore del duca di Milano. Per la qual cosa subito morto Lorenzo cominciarono a nascere quelli cattivi semi, i quali non dopo molto tempo, non sendo vivo chi gli sapesse spegnere, rovinarono, ed ancora rovinano la Italia.