Regno di Napoli ed Albania, storia di un legame antico
Cosa c’entra il Regno di Napoli con l’Albania, e come mai così tante comunità storiche a maggioranza albanese esistono nel meridione della Penisola? Per comprenderlo è necessario raccontare una storia. Avete presente Braveheart, il cuore impavido che sfida per anni il dominio inglese sulla Scozia in un impari quanto epico scontro che lo consacrerà alla memoria degli scozzesi e a cui Mel Gibson ha dedicato un memorabile film? Ecco, moltiplicate quella storia di coraggio all’ennesima potenza e avrete Giorgio Castriota. La differenza è che Castriota dovrà affrontare un nemico cento volte più potente dei regnanti inglesi.
Quando gli ottomani invadono l’Albania le forze del padre di Giorgio, Giovanni Castriota, vengono sbaragliate. I suoi figli, tra cui il protagonista di questa storia, vengono portati come ostaggi alla corte del Sultano Murad II e cresciuti come suoi servi.
Giorgio mostrerà subito una grande attitudine militare, non solo per la sua imponente prestanza fisica, ma anche per innate capacità strategiche che lo porteranno ben presto a ricoprire incarichi di rilievo nello stesso esercito del sultano, e che gli faranno valere da parte di Murad il soprannome di Scanderbeg (nuovo principe Alessandro).
Quando Murad deciderà di far eliminare i figli di Giovanni Castriota per evitare sogni di riscatto del popolo albanese non ebbe però il cuore di far assassinare anche Giorgio che intanto era diventato uno dei suoi pupilli e che stava guidando le truppe ottomane contro i suoi nemici.
Eppure la morte del padre fece scattare nel giovane Castriota ad un certo punto il richiamo delle proprie radici. Benché temuto, amato e rispettato tra i turchi, decise di disertare l’esercito ottomano e tornare in patria alla guida del suo popolo.
Conquistò tutte le maggiori piazzeforti albanesi in mano ai turchi, a cominciare dalla sua città natale Croja, e da allora in poi e per ben 24 anni (1444-1468) sconfisse uno dopo l’altro tutti gli eserciti, sempre più numerosi e potenti, che prima Murad II, poi suo figlio Mehmet II, inviarono contro di lui.
A differenza dell’icona oramai cinematografica William Wallace, Giorgio Castriota non conobbe mai la sconfitta! Nessun esercito turco, per quanto numeroso, per quanto bene organizzato e bene armato, riuscì mai a prevalere contro gli uomini dello Scanderbeg.
L’epopea del piccolo popolo albanese e dei suoi temibili guerrieri che tennero in scacco un mastodontico impero che era stato capace in poco più di 150 anni di macinare vittorie su vittorie espandendosi dall’Anatolia fino ai Balcani, trasuda legenda, eppure in questo caso la storia ha davvero poco da invidiare all’epica.
C’è però un episodio della vita dell’eroe albanese che lega indissolubilmente la sua storia a quella della Penisola italiana, ed in particolare al Regno di Napoli.
Il legame tra la dinastia regnante a Napoli degli aragonesi e lo Scanderbeg inizia quando Giorgio Castriota è alla disperata ricerca di alleati per contrastare da un lato gli eserciti turchi e dall’altra gli intrighi della Repubblica di Venezia che voleva mettere le mani sui centri costieri albanesi.
Ad offrire il proprio aiuto a Scanderbeg sarà Alfonso d’Aragona che controllava già gran parte del Mediterraneo occidentale potendo contare sui suoi possedimenti dinastici sulla costa catalana fino a Valencia e le Baleari, le isole di Corsica e Sardegna, la Sicilia ed il Regno di Napoli conquistato proprio nel 1443, e che voleva estendere ora la propria influenza verso il mediterraneo orientale con mire nemmeno tanto velate alla cadente Costantinopoli.
Alfonso offrirà a Scanderbeg, uomini, cannoni, denari e la sua amicizia, in cambio otterrà dall’eroe albanese atto ufficiale di vassallaggio. D’ora in avanti Alfonso d’Aragona sarà re anche di quelle terre di là dallo stretto braccio adriatico, gestite in sua vece da Giorgio Castriota che potrà così continuare a tenere lontani i turchi ottomani dall’Albania.
Nel 1458 muore Alfonso d’Aragona ed i suoi possedimenti vengono divisi tra i più stretti familiari. Il Regno di Napoli andrà al figlio Ferrante.
Quel regno che il padre di Ferrante aveva strappato alla dinastia angioina era attraversato dal malcontento dei baroni che non vedevano di buon occhio il tentativo degli aragonesi di ridurre il potere feudale in favore della corona. Non appena venne a mancare il potente sovrano molti dei più illustri nobili del regno caldeggiarono il ritorno degli angioini.
Ferrante venne costretto alla guerra per difendere il regno. Ma dopo i primi mesi le cose per gli aragonesi si misero male. Le truppe di Giovanni d’Angiò e dei baroni ribelli presso Sarno sconfissero quelle di Ferrante costrette ad una precipitosa ritirata verso la capitale. Era il 7 luglio 1460 e il re di Napoli fu obbligato a chiudersi in città aspettando il peggio.
I vincitori di quella battaglia però indugiarono troppo e invece di dare al re il colpo di grazia gli permisero di riorganizzare le proprie forze, non lo inseguirono nella capitale del regno e si divisero puntando verso le Puglie. Tra i motivi di questa strategia c’era che nel frattempo Giorgio Castriota Scanderbeg rispondendo onorevolmente alla chiamata del re di Napoli aveva inviato truppe in Puglia per sostenerlo.
Ma l’impegno dell’eroe albanese non si esaurì quell’anno con l’invio di uomini in sostegno degli aragonesi: mentre Ferrante riconquistava i maggiori centri della Campania e inseguiva i suoi avversari nelle puglie un nuovo rovescio strategico lo portò ad asserragliarsi in Barletta, assediato dai suoi nemici. Fu allora che l’intervento di Scanderbeg divenne determinante.
Nel settembre 1461 lui stesso, alla testa di circa 2000 guerrieri albanesi, tra cui 700 temibili cavalieri, sbarcò a Barletta e ruppe l’assedio. Gli angioini infatti si ritirarono di fretta e furia per evitare lo scontro con quel terribile avversario e i suoi guerrieri a cavallo che avevano sbaragliato già interi eserciti ottomani grazie a strategie di combattimento copiate proprio all’agile cavalleria turca e contro cui i pesanti cavalieri occidentali poco o male riuscivano a difendersi.
Scanderbeg rimase a combattere nel Regno di Napoli fino al principio di gennaio 1462 quando fu costretto a tornare in Albania per fronteggiare l’ennesimo esercito turco inviato contro i suoi possedimenti.
Nel frattempo, nell’ agosto del 1462 Ferrante otteneva una decisiva vittoria sul campo di Orsara e l’anno dopo Giovanni d’Angiò si ritirava definitivamente in Francia abbandonando le sue pretese sul regno.
A coronare il successo degli aragonesi arrivava l’assassinio del più potente dei baroni ribelli, il Principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo, che permise a Ferrante di incamerare tutta la terra d’Otranto tra i possedimenti regi.
A guerra ultimata il re di Napoli volle ringraziare quel suo valoroso e fedele vassallo albanese grazie al cui intervento aveva potuto scongiurare la sconfitta a Barletta concedendo in dono a Scanderbeg i prestigiosi feudi in Capitanata di Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo oltre ad una provvigione di 1200 ducati, grazie ai quali l’eroe albanese condusse ancora una fiera resistenza all’espansionismo ottomano.
Questo grandissimo personaggio della storia che fu Giorgio Castriota morì di malaria nel 1468 all’età di 63 anni mentre ancora sfidava le schiere ottomane. Il suo cadavere fu issato dai suoi uomini in sella al suo destriero, per l’ultima volta, per terrorizzare ancora le truppe nemiche alla sola sua vista portando alla vittoria i suoi uomini. Con indosso il suo caratteristico cimiero sovrastato da una testa di capra che ormai i turchi avevano imparato a temere si compiva l’ultima cavalcata dello Scanderbeg.
Per altri dieci anni i suoi luogotenenti riuscirono a tenere a bada gli ottomani, ma alla fine il giorno della resa arrivò. Nel 1478 il territorio del Principato d’Albania, dopo un’ardua difesa, cadde inesorabilmente sotto il dominio del Sultano Mehmet II il Conquistatore di Costantinopoli, altra figura memorabile della storia.
La moglie ed il figlio di Giorgio Castriota avevano però già abbandonato quelle terre all’indomani della morte di Scanderbeg, accolti amorevolmente proprio da Ferrante nel Regno di Napoli alla corte del quale prosperarono come una delle nobili casate del regno.
Dopo la sconfitta moltissimi albanesi abbandonarono le loro terre e si rifugiarono nell’Italia meridionale per non sottostare al giogo ottomano, protetti dalla dinastia regnante, costituendo decine di centri a maggioranza albanese all’interno dei quali venivano conservate la loro lingua e le loro tradizioni. Ancora oggi tra la Campania, la Puglia, la Calabria ma anche la Sicilia molti centri abitati mantengono vivi usi e costumi di quelle genti che sul finire del XV secolo e poi negli anni a seguire arrivarono dall’Albania, andando a costituire ancora nel 2020 una delle minoranze più radicate in Italia. (vedi comunità Abereshe). Il popolo dello Scanderbeg, forse uno dei più grandi guerrieri di tutti i tempi, vive ancora in mezzo a noi.
Autore articolo: Giuseppe De Simone
Bibliografia: G. M. Monti, La Spedizione in Puglia di Giorgio Castriota Scanderbeg e i feudi pugliesi suoi della vedova e del figlio – Estratto da «IAPIGIA»; F. Senatore e F. Storti (a cura di), Poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d’Aragona; C. Lopez Rodriguez e S. Palmieri (a cura di), Registro 2912 n. 147 ne I Registri Privilegiorum Di Alfonso Il Magnanimo Della Serie Neapolis Dell’archivio Della Corona D’Aragona
Giuseppe De Simone, laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, presso la Sapienza – Università di Roma, con una tesi in Storia Militare su “L’esercito francese e la Guerra d’Algeria”, è studioso di storia del Mezzogiorno d’Italia.
L’eroe morto a cavallo mi mancava.