La Battaglia di Ceresole
Una sanguinosa battaglia ebbe luogo l’11 aprile 1544 a Ceresole, in Piemonte, tra i francesi comandati da Francesco di Borbone, conte d’Enghien, e gli imperiali guidati da Alfonso d’Avalos, i quali, partiti da Asti, erano diretti a portare soccorso a Pirro Colonna, assediato dai francesi nella piazzaforte di Carignano.
Il comandante in capo dell’esercito francese aveva inviato come suo emissario Blaise de Montluc da Francesco I per ottenere il permesso di andare incontro alle truppe imperiali che avanzavano per spezzare l’assedio di Carignano, in possesso del marchese del Vasto. Il parere del re di Francia era assolutamente contrario ad ogni iniziativa offensiva dell’Enghien. Francesco I temeva che una sconfitta avrebbe vanificato i successi fino ad allora ottenuti. L’intera regione era, infatti, in larga parte occupata dai francesi con una campagna iniziata dal 1536 ai danni dei duchi di Savoia. Nonostante la ferma contrarietà del re, Montluc riuscì a fargli cambiare avviso.
Appena la notizia di una nuova, imminente battaglia si diffuse a corte, decine di giovani rampolli delle più nobili famiglie aristocratiche francesi si unirono al Montluc. Quei giovani erano desiderosi di mostrare il proprio valore in battaglia ed ottennero il permesso regale di partire per l’Italia. Montluc si presentò a Francesco di Borbone con due buone notize: poteva passare all’offensiva e dalla sua aveva pure un gran numero di giovani nobili impazienti di distinguersi.
Era Pasqua, il conte d’Enghien si mostrò alla testa di condusse 15.000 uomini a Cerisole, fra le montagne di Carmagnola e Sommariva del Bosco. I due eserciti erano schierati su due colline parallele con un atteggiamento d’attesa. Un primo scontro fu vacuo, tuonarono le artiglierie e si svilupparono diverse schermaglie. Sembrò, però, tutto privo di spinta da ambedue le parti e si concluse con un nulla di fatto. Il giorno dopo, 14 aprile 1544, la battaglia si riaccese con una mischia confusa sostenuta dalle fanterie, vere protagoniste di uno scontro che sancì il decadimento del ruolo della cavalleria pesante. Il marchese del Vasto ruppe gli indugi e fece marciare tutto il suo esercito in linea. Al centro, i lanzichenecchi se la videro con i mercenari svizzeri: tredici compagnie di veterani, quasi 4.000 uomini che costituivano le sette compagnie di Wilhelm Frülich de Soleure e le sei del capitano Saint-Julien, barone di Hohensax. Sulla sinistra, la fanteria imperiale di Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, supportato dai cavalieri fiorentini di Rodolfo Baglioni, riuscì a paralizzare l’iniziativa della cavalleria francese dei capitani Thermes, Bernadino e Mauré, e così avvenne anche sulla destra dove la cavalleria del d’Enghien si infranse contro la fanteria spagnola di Raimondo de Cardona e Filippo de Lannoy, principe di Sulmona, figlio di Charles, supportata dai cavalieri di Carlo Gonzaga.
Si combatté per più di quattro ore senza che nessuno dei due eserciti prevalesse, poi finalmente il marchese del Vasto si mosse con un secondo copro di lanzichenecchi ed ottocento cavallieri. Gli svizzeri ed i guasconi respinsero anche loro, l’ala destra dello schieramento francese, guidata dal generale Boutière. Convergettero sul nemico e ciò mandò i tedeschi in disordine. Termes rovesciò la fanteria del principe di Salerno, si gettò quasi da solo in mezzo a loro e fu fatto prigioniero. Sulla sinistra invece il conte d’Eughien per un istante si vide sopraffare dagli spagnoli. Pensò che la battaglia fosse persa. Gli imperiali disposti sulle due ali iniziarono a ripiegare solo quando fu lampante che gli svizzeri avevano conquistato il centro ed avanzavano urlando e calpestando i cadaveri dei lanzichenecchi. Fu allora che l’Enghien, al contrattacco, corse a tagliare loro la ritirata e avrebbe forse fatto la fine di Termes. Lo placarono le raccomandazioni dei suoi uomini: “Principe, ricorda Ravenna e Gaston de Foix!”.
La battaglia fu quindi dominata dall’iniziativa dei fanti francesi e dagli svizzeri arruolati nei loro ranghi, armati di archibugi e picche. Essi ebbero la meglio sul nerbo dell’esercito del marchese del Vasto che lasciò sul campo 12.000 caduti. Oltre tremila furono i prigionieri e tra essi anche Cardona e Carlo Gonzaga. Questa impresa però non fu sfruttata da Francesco I perchè Carlo V, strategicamente fece invadere la Piccardia. I vincitori di Cerisole furono frenati dal re. Avrebbero potuto inseguire il nemico, irrompere nel Milanesato, ora sguarnito di difese, invece furono immediatamente richiamati in Francia. Pirro Colonna continuò a resistere per settimane nella piazzaforte di Carignano.
Autore articolo: Angelo D’Ambra