Le porcellane di Capodimonte ed il salottino di Maria Amalia
La Real fabbrica di porcellane di Capodimonte fu fondata da Carlo di Borbone nel 1743. Cinque anni prima il re aveva sposato la quattordicenne Maria Amalia Walburgo di Sassonia, figlia di Federico Augusto, elettore di Sassonia e re di Polonia, e di Maria Giuseppa d’Austria figlia dell’Imperatore Giuseppe I. Accompagnavano il prezioso corredo della sposa, accuratamente custoditi in astucci di cuoio segnati dagli stemmi di Sassonia e Napoli, una serie di incantevoli manufatti in ceramica e porcellana di cui i Sassoni erano orgogliosi. Si trattava di produzioni artigianali provenienti infatti dalla fabbrica di Meissen, gioiellino di Federico Augusto famoso in tutta Europa nell’arte della ceramica. Erano per lo più vasi e chicchere di porcellana che alla corte di Napoli lasciarono tutti stupiti per bellezza e qualità. Carlo, in particolare, fu colpito da una tazza regalatagli dal suocero, gli piacque così tanto che volle servirsi solo di quella. Tali gioielli ispirarono al giovane re consorte l’amore per le porcellane ed il desiderio di sviluppare anche nel suo regno manifatture dedite a quell’arte.
Nel Sud della penisola italiana la conoscenza della ceramica risaliva già ai tempi dei Normanni. A testimonianza di ciò vi erano i meravigliosi campanili della Cattedrale di Amalfi, con dischi di maiolica, e della Cattedrale di Gaeta, col suo piatto di maiolica orientale. Oltretutto nei domini carolini si avevano numerosi esempi di pavimentazione a mattonelle di ceramica nelle chiese di Napoli nonchè in cortili di antichi monasteri in Terra di Lavoro. Tra i più fulgidi casi ricorderemo la cappella dei Ss. Pietro e Celestino in San Pietro a Maiella, pavimentata in porcellana. La Real fabbrica di porcellane di Capodimonte non fece, quindi, che riprendere una lavorazione tradizionale ma dimenticata.
Carlo vi si dedicò con grande fervore chiamando artisti riconosciuti e noti artigiani. I primi esperimenti si intrapresero con mezzi e materiali di fortuna nel cortile del palazzo reale, purtroppo osteggiati dalla Sassonia, gelosa dei suoi segreti e intimorita da una eventuale concorrenza. La fabbrica fu impiantata nello stesso palazzo reale affinchè Carlo e Amalia potessero controllarne i continui progressi e seguire da vicino ogni aspetto delle lavorazioni. La direzione artistica delle manifatture fu affidata a Giovanni Caselli, piacentino, disegnatore di cammei da incidere su pietre dure e primo ritrattista di miniature alla corte farnese di Parma. La direzione generale fu invece data al chimico belga Livio Ottavio Schepers, accompagnato dal figlio che più tardi prese il suo posto. Furono spesi da subito 235 zecchini d’oro per il soggiorno napoletano degli artigiani di Sassonia, i soli che conoscessero il segreto della tecnica per la composizione della pasta di porcellana e delle vernici adatte. Parecchio ancora fu investito nella struttura: quando nel 1743, l’architetto Sanfelice, costruì nel bosco di Capodimonte i sedici ambienti con fornaci e cortili e costituirono l’edificio manifatturiero, vi presero a lavorare 13 persone, compresi un economo ed il direttore. Complessivamente le spese generali non superarono i 200 ducati al mese.
Passarono due anni e fu organizzata la prima fiera campionaria per la vendita di porcellane. Queste lavorazioni si eseguivano su caolino proveniente da Fruscaldo e Paola in Basilicata, per le colorazioni furono importati materiali dalla Sassonia e per la decorazione si usarono carte stampate alla cinese fatte venire da Parigi. Con successo gli esperimenti di Schepers erano serviti ad ottenere una porcellana a pasta tenera, diversa da quelle a pasta dura provenienti dalla Cina e dalla Germania. L’apprezzamento fu generale e dal 1745 al 1765, solo nel Regno di Napoli, si vendettero porcellane per un valore di 54.380.82 ducati, mentre le esportazioni iniziavano ad avere flussi significativi. Poche erano state le informazioni trapelate dalla corte di Federico Augusto e con grande fatica era stato superato il problema della materia prima. La qualità delle produzioni fu addirittura considerata superiore a quelle tedesche; un evidente successo confermato dalla notorietà raggiunta in tutta Europa.
La massima espressione dell’abilità plastica e pittorica degli artisti di Capodimonte fu però il Salottino di porcellana per la regina Amalia. Creato dallo scultore Giuseppe Gricci, il salottino è ricordato come il capolavoro degli ultimi anni della manifattura carolina. Fu in origine realizzato per gli appartamenti privati della regina nella Reggia di Portici, tra il 1787 ed il 1759. Con l’unità, esattamente nel 1866, la Reggia di Portici passò al demanio ed il rivestimento in porcellana seguì una sorte inaspettata: venne smontato e collocato a Capodimonte in uno spazio riadattato ancora oggi visibile ai visitatori.
La stanza presenta un rivestimento in lastre di porcellana ancorate alle pareti su supporto ligneo. L’idea di sostituire le tradizionali boiseries con un rivestimento in porcellana rende l’ambiente unico nel genere, affine solo al Salottino di Aranjuez, realizzato del resto dalle stesse maestranze trasferite nel 1759 dal Re in Spagna. La decorazione, contenuta entro le specchiature e sulle cornici, è l’interpretazione del gusto esotico e di ispirazione cinese dilagante nel Settecento in Europa. Particolare interessante sono i 23 cartigli, alcuni dei quali con scritte in lingua cinese, che recitano elogi a Carlo e brevi poesie con la data del 1758. Il soffitto, ricongiunto alle pareti nel 1959, è una realizzazione in stucco dipinto sulla doratura in oro zecchino. L’opera fu realizzata dal Gricci coadiuvato a Portici dall’ornamentista Mattia Gasparini, mentre le decorazioni pittoriche furono eseguite dal capo-pittore sassone Sigmund Fischer.
Se c’è un rimprovero che i napoletani potrebbero fare a Carlo è l’aver chiuso la fabbrica quando partì per la Spagna nel 1759 portando con sè operai e materiale per dare vita alle officine del “Buen retiro”. Purtroppo a nulla valsero i tentativi dell’illuminato Ferdinando di riportare le porcellane napoletane allo splendore raggiunto negli anni di governo del padre. I prodotti di Capodimonte appaiono prodigiosi ad un occhio esperto. Inquadrare queste realizzazioni nelle scarse possibilità tecniche del tempo in cui furono realizzati fa comprendere il genio e la maestria di coloro che si impegnarono nei processi produttivi. Il tipo di lavorazione delle porcellane era originalissimo, tutto napoletano, ed il grado di perfezione raggiunto faceva sì che i manufatti non avessero nulla da temere al confronto della migliore produzione dell’epoca. I suoi servizi da tè e da caffè erano ritenuti i migliori per trasparenza d’impasto, per la forma elegante, per la varietà dei soggetti e per la tecnica delle miniature. Forme e colori costituirono il maggior pregio di questa porcellana che ancora oggi si trova come vanto di palazzi, ville e musei napoletani.
Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra
Sono fantastici, ho fatto le bomboniere di Capodimonte quando mi sono sposata.