I popoli della Romania
Il senatore mantovano Tulio Massaran, nei suoi Studii di politica e di storia, redatti intorno al 1850, si soffermò sull’identità latina della Romania. Leggiamo…
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Il primo anello che rannodi all’istoria la barbara Dacia, è la conquista romana. A vendicare l’onta patita da Domiziano, Trajano vi condusse il fiore delle sue legioni; gittò sul Danubio il primo ponte di pietra; e, sterminati in cinque anni di guerra i prodi aborigeni, trapiantò nuovi abitatori a ristorare e difendere la terra desolata, e v’assise gli ordini sapienti delle colonie italiche. Magnifiche vie consolari corsero rettilinee da fiume a fiume, e s’apersero un varco tra i monti; il sacro aratro e il martello degli aurarii s’impossessarono della terra; sorsero città fiorenti di latina coltura, dove un secolo prima Ovidio si lamentava straniero fino ai suoni dell’umana favella. Fu la colonia per centocinquant’anni valido antemurale all’Imperio; ma era lasciata pressochè sola a combattere; e quando i barbari confinarii, accalcandosi al fiuto della preda, si premettero a vicenda verso Occidente, ben poterono i discendenti della Minervale, della Gemella e della Claudiana romanamente resistere, non impedire che traboccasse la piena. Primi i Goti penetrarono, in atto più di fuggenti che d’ invasori, nella Dacia trajana, donde Aureliano ritrasse di qua dal Danubio, nella Mesia che disse Dacia aureliana, i presidii; poi gli Unni cacciarono i Goti; e le ultime reliquie dei nostri coloni ripararono all’alpestre asilo dei Carpazii…
Checchè ne pensino, con Sulzer e con Solarici, i pochissimi che spingono fino all’eccesso la devozione allo Slavismo, tanta è l’analogia fra la lingua rumena e le altre neolatine dell’Occidente, che basta, per addarsene, aprire una grammatica o un dizionario; poi che essa infatti abbraccia dizionario e grammatica insieme, sostanza di vocaboli e contestura d’inflessioni, e per dirla all’artigianesca, stoffa e fattura. Certo le correnti straniere non passarono sul prisco metallo della lingua senza deporvi le proprie scorie; ma il buon conio romano si vede ancora; e se in mezzo ai discendenti dei nostri legionari si sono intrusi l’hospodaru e il boiariu degli Slavi, il dascalu e il calogeru dei Greci, e, ricchezza ignota al Mezzodì, la servile jobagia (lavoro forzato) dei Russi, tuttora gl’indigeni popolani salutano con prette voci latine mare e tera e ceru, vita e morte, frate e sora e parente e muliere, e meglio che in molti dialetti della Penisola dicono arbore, flore, capu, frunte, lacrima, risu, pane, casa, focu, con l’altre leggiadre eufonie che possono leggersi negli ingegnosi paralleli d’Eliade e di Cattaneo…
Se non che i fasti patrii, la lunga lotta contro l’Infedele, la vita battagliera e libera durata nel fido asilo dei monti a petto a tante razze nemiche, e soprattutto la illustre origine romana, stavano indelebili nella memoria del popolo. Come in quei tempi muti di cui parla il Vico, la terra e il cielo diventarono il suo linguaggio ed il suo libro; dalle mobili imaginative sgorgò spontanea quella vergine poesia, che, senza magistero di lettere, già vive e regna nelle credenze e nei costumi, prima d’essersi foggiata una veste nel ritmo. Mirabile è tuttodì la tenacia delle tradizioni latine. La feudalità magiara e germanica che s’impose alla terra, non attecchì nelle abitudini, e non potè conquidere la romana protervia del tu, che scocca dalle labbra di tutti e s’accompagna anche all’invariabile e laconica maniera d’ossequio (domnia tua). Infesto, come in Roma antica, è il nome regale, e suona sanguinosa ingiuria (esci un craiu); Dio stesso non è il Re dei re, ma l’Imperatore del mondo: imperatul quare nu è ca dinsu altul, dice un antico Salterio. Allato, se non pure in cima, ai più venerati, sta invece il nome di Trajano: e le plebi imaginose non s’accontentano di trovarne le vestigia in ogni cumulo di pietre che somigli a rovina, e d’intitolarne le loro terre (campul Traianu lui, pratul Traianului); ma lo assidono benanco signore ed auspice dei fenomeni naturali: il mugghio del tuono e della valanga è la voce del divo Trajano; la via lattea è lo splendido suo corteo; Docia, la bianca vetta dei Carpazii, è un’infida amante di lui, mutata in pietra pel sacrilego fallo.
E questa memoria del cuore, che involge col velo di poetiche finzioni un senso di profonda riverenza per gli iniziatori del vivere ci vile e più d’un’alta significazione istorica, s’intromette poi al governo della vita, e ne informa i momenti più solenni, l’ore più festevoli e le più triste. Santo è l’asilo domestico, e sacro pel Rumeno ogni essere vivente che ne varchi le soglie, la rondine che v’edifica il nido, come l’ospite che vi riposa; ei pasce di latte e accoglie nel verno presso le tepide ceneri anche il colubro (serpe da casa), in cui raffigura il genio del focolare. Quando s’entra sotto il suo tetto, tosto comparisce, condita di essenze (dulciatà), la tazza ospitale; e spesso, anche nei luoghi più deserti, il passeggiero smarrito trova una cafitza colma d’acqua, che una mano ignota, non senza prima aver libato al genio della fonte, ha pietosamente deposta nel cavo d’un sasso o di un tronco. La corsa, la lotta, tutti i virili esercizii ove campeggiano snellezza e forza, sono i piaceri del popolo; e con simili tenzoni chiudonsi il più sovente i suoi frugali banchetti. Anche è in favore, come presso ogni gente primitiva, la danza, che s’accompagna a nazionali melodie, semplici le più e melanconiche, come è per natura il canto dell’uomo. Non è raro, al cadere dei dì festivi, veder nelle povere terricciuole intorno a un rudimento d’orchestra zingaresca, dove la tibia greca si marita alla cobza o mandòla orientale, carolare all’aperta, tenendosi per mano e librandosi sull’agile persona, un cerchiello di giovani e di fanciulle: è la hora, il coro italo-greco, che altri poteva credere relegato sulla curva elegante dei vasi nolani. Altre volte sono drappelli di pastori in pretto costume nazionale, che giostrando con gran fragore di mazze, di lancie e di scudi, intrecciano la danza dei calusari, o, come piace di credere, la guerriera e mistica danza dei Salii.
Fonte foto: dalla rete