Il Trecento fiorentino nelle novelle di Sacchetti
Franco Sacchetti nacque a Ragusa, in Dalmazia, fra il 1332 e il 1334. Figlio di un mercante fiorentino, esercitò fin da giovane la mercatura pur dedicandosi, con maggiore ingegno, alla scrittura. La sua opera “Il Trecentonovelle”, scritta agli inizi del 1392, ci racconta con note di umorismo burle, truffe e disonestà diffuse a Firenze nel Trecento.
Non che non esistessero leggi e magistrati, anzi, ma anche nel Trecento erano frequenti i raggiri e gli imbrogli. Ci è così consegnata otizia di qualche truffa operata dai mercanti di Firenze ai danni di ingenui acquirenti forestieri.
Racconta infatti il Sacchetti di una frode ai danni di un friulano di nome Soccebonel che comperò dei panni da mercanti fiorentini. Nel Trecentonovelle si racconta che Soccebonel ne chiese quattro canne ma il mercante glie ne rifilò solo tre e mezzo e per coprire l’inganno disse: “Vuoi tu far bene? Attuffalo in una bigoncia d’acqua e lascialo stare tutta la notte sì che beva bene, e vedrai poi che bellezza di panno diventerà!”. Il compratore seguì ingenuamente il consiglio del fiorentino e poi consegnò il panno al cimatore che trovò il panno di sole nove braccia. Non era affatto cresciuto anzi s’era ristretto perchè una canna equivaleva a poco più di due metri e mezzo ed un braccio a 0,58 metri. Soccebonel capì di essere stato raggirato. Alla fine un tale lo consolò raccontandogli: “Questi panni fiorentini non tornan nulla all’acqua. i fu uno che acquistò un braccio di panno fiorentino e la sera l’attuffò in un bigonciuolo d’acqua e ve lo lasciò stare tutta la notte. Ebbene, la mattina lo trovò tanto rientrato che non c’era più nulla”.
Nel secolo, il lusso delle donne fiorentine nelle vesti, negli ornamenti, nelle fogge raggiunse vette così alte che a molti parve sfacciato, catturando l’ostilità dei reggitori della repubblica. Furono emanate leggi speciali che, sulla scorta delle più antiche leggi suntuarie, stabilivano limiti precisi nell’ostentazione di raffinatezze nell’abbigliamento. Al fine di dare esecuzione alle norme furono pure nominati dei rettori e tra essi Amerigo degli Amerighi da Pesaro.
E’ probabilmente nella descrizione di certi buffi raggiri delle vanitose donne fiorentine che il celebre novelliere toccò le punte d’umorismo più alte.
Racconta, infatti, il nostro Franco Sacchetti che l’Amerighi, pieno di zelo, iniziò le sue indagini e si trovò subito davanti ad una donna col becchetto frastagliato avvolto sul cappuccio. Troppo! La donna fu invitata a levarlo: “Le ordinanze impediscono questo ornamento”. La fiorentina tolse allora il becchetto dal cappuccio al quale era attaccato a uno spillo e ribatté: “Non è un becchetto, è una ghirlanda”.
Qualcosa del genera accadde il giorno dopo, quando Amerigo degli Amerighi scovò una donna con una veste ornata da bottoni. Anche in questo caso il rettore fece appello alla legge ma la donna ribattè: “Questi non sono bottoni, sono coppelle. E, se volete convincervi, osservate: non hanno picciuolo e non v’è ombra d’occhiello”.
Non fu l’ultima beffa. L’Amerighi trovò una donna con delle pelli d’ermellino che però negò l’evidenza sostenendo che si trattasse non di ermellino ma di lattizzi. “Che cosa è questo lattizzo?”, chiese il rettore. “E’ una bestia”, gli fu risposto.
“Signori miei – infine convenne il povero Amerighi – io ho tutto il tempo della mia vita studiato ed ora che credevo di saper qualche cosa mi trovo che non so nulla”.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete