Armaciotto dei Ramazzotti
Carlo V riuscì a pacificarsi con Clemente VII, nato Giulio Zanobi, figlio naturale, poi legittimato, di Giuliano de’ Medici. In cambio della corona imperiale, non solo fu concordato il matrimonio di Margherita, figlia dell’imperatore, con Alessandro de’ Medici, nipote del pontefice, ma anche una guerra contro i fiorentini per ridare la città ai Medici espulsi. Fu un accordo fortemente voluto da Clemente VII che, non dimentico della prigionia in Castel Sant’Angelo, bramava vendicarsi dell’affronto ricevuto e restaurare la sua famiglia al governo di Firenze. Dal canto suo la città, abbandonata da Venezia e dalla Francia, riprese le armi: Michelangelo Buonarroti si dedicò a costruire fortificazioni e ripari, tutti i cittadini, dai diciotto ai trentasei anni, si armarono e, a protezione dei territori limitrofi, furono inviati Biviliano de’ Medici a Scarperia, Antonio Rabatta a Bruscoli e Pietramala, l’abate Basilio ad occupare i passi del Casentino. Non bastarono certe premure: l’esercito imperiale, forte di trentaseimila esperti uomini d’arme condotti dal principe Filiberto d’Orange, si mosse da Perugia occupando senza difficoltà l’Aretino ed il Cortonese, poi la Romagna. In questi fatti di guerra non mancò Clemente VII di partecipare assoldando mercenari romagnoli che, attraversando gli Appennini emiliani, calarono sul Mugello mettendo a sacco e fuoco i paesi della vallata. Tra essi si distinse il terribile Armaciotto dei Ramazzotti di Scaricalasino.
Armaciotto era nato nel 1464. Rimasto orfano di padre, crebbe da brigante vendicando gli assassini del genitore e, per sfuggire alla giustizia, giurò obbedienza ai Medici. Lorenzo il Manifico, allora signore di Firenze, gli concesse protezione in cambio di servigi sporchi ed efferati. Morto Lorenzo, Armaciotto passò nel Regno di Napoli dove infuriavano le guerre contro gli Aragonesi. Nella primavera del 1504 contribuì alla conquista di Forlì, nell’estate del 1506 alla sottrazione di Perugia ai Baglioni e nell’autunno dello stesso anno alla conquista di Bologna. Posto a capo delle truppe a difesa di questa città, respinse il primo dei diversi tentativi di rientro dei Bentivoglio. Nel 1509, con l’ingresso dello Stato della Chiesa nella Lega di Cambrai, guidò la fanteria papale alla conquista di Rimini e alla Battaglia della Polesella del 22 dicembre 1509; quando le alleanze mutarono restò tra i pontifici occupando i territori di Alfonso d’Este. Fu pure presente, l’11 aprile 1512, alla Battaglia di Ravenna: in quella giornata, Armaciotto, ferito, fu tratto in salvo e nell’agosto dello stesso anno poté tornare a combattere e contribuire alla conquista di Prato ed al rientro dei Medici, suoi antichi protettori, a Firenze. Armaciotto, con l’ascesa al soglio pontificio di Leone X, fu ricompensato con diverse concessioni nei territori di Ravenna e Cervia, investito della podesteria di Castel Bolognese, fatto cavaliere e signore di Sassiglione, Bastia, Belvedere e Codronco, feudi a cui continuò ad aggiungere altri, sempre al servizio dei papi Medici. Così, nel settembre del 1529, sessantacinquenne e non sazio di guerre, Armaciotto, affiancato da suo figlio Pompeo, rispose alla chiamata di Clemente VII.
Armaciotto superò il passo di Pietramala, disfacendo le fortificazioni fiorentine, assaltò Firenzuola mettendola al sacco e appiccandovi le fiamme. Il suo compito era quello di ostacolare i rifornimenti a Firenze assediata e vi si concentrò con incredibile ferocia. Firenzuola arse per tre giorni, tutto andò perduto dei suoi archivi e delle sue opere d’arte, poi Armaciotto valicò il Giogo e passò nel Mugello, diretto a Scarperia. La vallata era già stata invasa dagli imperiali, Scarperia era rimasta immune dalle violenze, ma Armaciotto, coi suoi tremila uomini, la invase, catturò i maggiorenti del Vicariato e stabilì quì il suo quartier generale fino alla capitolazione di Firenze. Da Scarperia Armaciotto si spostò solo per occupare Luco, dove non risparmiò conventi, magazzini e donne.
Il condottiero pontificio fu accusato dal Guicciardini di essere solo un ladro, di guidare furfanti e di condurli in scorribande, “villani senza danari, e non soldati”, gente andata “non con disposizione di combattere, ma di rubare” e Armaciotto, “saccheggiato che ebbe tutto il Mugello, si ritirò nel Bolognese con la preda, dissolvendosi tutta la gente, la quale aveva venduto a lui la maggior parte delle cose predate”. Anche Giorgio Vasari sostenne questo asserendo che il condottiero tentò pure di appropriarsi della Pietà di Luco, dipinta da Andrea del Sarto. A condannarlo non furono però questi atti, ma l’ostilità del nuovo pontefice, Paolo III. Accusato di esecuzioni arbitrarie e messo al bando il 26 giugno 1536, subì la confisca dei beni e si rifugiò ancora presso i Medici combattendo per loro alla Battaglia di Montemurlo in cui gli esuli fiorentini, guidati da Filippo Strozzi, tentarono senza successo di rovesciare il governo di Cosimo I.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Bibliografia: G. Ughi, Cronaca di Firenze