La decapitazione di Palentieri
Nel giugno 1560 papa Pio IV, successore di Paolo IV, arrestò i capi della famiglia Carafa per gli abusi di potere esercitati nel precedente papato. Vennero carcerati, processati e giustiziati barbaramente il cardinale Carlo Carafa e Giovanni Carafa, Duca di Paliano. Trovò invece la libertà e la clemenza pontificia Alfonso, loro nipote. Tuttavia sotto Pio V questa scelta fu rivista in modo paradossale. Il pontefice precisò che i Carafa erano stati condannati ingiustamente, mentre l’unico colpevole era Alessandro Palentieri che aveva intentato loro il processo in veste di Avvocato fiscale della Camera Apostolica. Quella che segue è la relazione dell’ambasciatore veneto sulla decapitazione del Palentieri.
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Gloriosa non meno che ammirabile fu la risoluzione del sommo Pontefice Pio V per l’annullazione, cassazione, e rivocazione de decreti fatti da Pio IV suo antecessore con la solenne, memorabile giustizia in Roma del Fiscale Alessandro Palentieri Milanese, condannato a morte per i gravissimi suoi misfatti, e delitti contro la famiglia Caraffa, cioè contro il Cardinale D. Carlo Caraffa, Duca di Palliano suo fratello, D. Leonardo di Cardines cognato, e Conte d’Aliffe fratello della duchessa di Palliano. Il vigesimo sesto giorno del Pontificato di Pio V seguì la cattura del Fiscale Alessandro Palentieri, il quale fu preso nella sua abitazione, e fu per ordine espresso del Papa. E perchè egli aveva il diploma Imperiale, per il quale era cresciuto sì grandemente d’ardire, e di superbia, che quando andò il Pasparini per condurlo in Torre di Nona, strepitando disse “così si tratta un Fiscale della Curia, un Giudice, un Ministro dell’Imperatore” gli fu risposto che non poteva trasgredire gli ordini del Papa. Ma esso mostrando il diploma Imperiale, credeva, che per esso non sarebbe stato condotto in carcere ; ma il Governatore non ostante l’avviso del Bargello, e che egli fosse caratterizzato, e con si specioso titolo distinto, non rivocò l’ordine ma volle assicurarsi di esso, per timore, che non si mettesse in fuga. Fu rigorosamente esaminato da giudici, e precisamente sopra le lettere, e l’instruzioni dirette al Re di Francia, Duca di Urbino, contestabile di Francia che erano da esso state adulterate, e subornati molti testimonii venuti dal Regno di Napoli, mandati dal Duca di Alva, che si erano esaminati contro il Cardinale Caraffa; e massime in un capitolo: de Haeresi, pro diffamatione in Curia Caroli, quinti cum Marchione Brandeburgensi Haeretico, volendo provare il Fisco il reato del Cardinale per condannarlo, e costituirlo reo di morte, che avesse tenuti secreti trattati, e chiamati contro l’Imperatore eserciti infedeli, perchè venisse assalito in quel tempo che esso si trovava col suo esercito occupato contro i Francesi, e in difesa del Regno di Napoli , poichè i testimoni non deponevano che de auditu, quali non facevano prova alcuna. E maggiormente veniva ocularmente riconosciuta la falsità del Fiscale nel processare il Cardinale in cose delle quali veniva riconosciuto innocente, perchè fu accusato d’avere in compagnia di Girolamo da Contubernia nel fiore desuoi più verdi anni tolto di vita per mercede su le campagne della Cirigniola nel regno di Napoli Tommaso Penacchione Beneventano, sopra il cui commesso delitto 24 testimonii a pro del Fisco avevano deposto siccome nel processo fol. 1114 sino al proc. 2249 appariva; de’quali 22 deponevano de auditu, il predetto in quell’omicidio essere intervenuto per l’amistà che con il Contubernia professava, e non per denari, ancorchè gl’altri due dicevano d’aver inteso essergli stati pagati per tal cagione 400 scudi. A sì fatta proposizione gli fu dal Cardinale risposto di non poter esser egli molestato: primo perchè non costava del corpo: secondo perche non citata la parte furono i testimoni esaminati. E come che de auditu deponevano, non facevano indizio veruno, ed ancorchè a pieno l’omicidio si provasse, non poteva egli essere inquisito, stante l’amplissima assoluzione nell’uno, e nell’altro foro dal Pontefice Paolo IV di motu proprio fattali, per la quale etiam da tutti i commessi misfatti pria d’essere Cardinale era assoluto, come al ſolio 415 registrato scorgevasi. E nell’articolo d’aver egli tirato Paolo IV suo zio a far la guerra alli Spagnuoli, con mostrare l’instruzione e la missione d’Annibale Bucellai, nella quale instruzione furono messe alcune parole, che indicavano la maniera, ed il modo di aver persuaso il re, e i Cardinali Dananzone, e Lanzach a fare lo sborso dei cinquantamila scudi per assoldare alcuni pochi soldati, che furono levati dallo stato del Papa, ma con licenza e permesso del Papa, che essendo stata dal Marchese di Sarria, allora ambasciatore di Carlo V, spezzata con gran violenza Porta Santa Agnese, sdegnato il Papa di questo fatto avea ordinato al nipote di far aggiungere alcuni quartieri nella città, al che mancando il danaro, fu preso da mercanti francesi, attese l’offerte che fecero i mercanti suddetti per il disprezzo e poco rispetto usato al Papa; ma il Fiscale valendosi di questo deposito fatto in Roma, avere incolpato il Cardinale, che senza licenza del Papa, unito coi Francesi, avesse assoldati 1500 uomini, perchè assalissero gli Spagnuoli nei confini del regno, onde a misura di queste falsità e subornazioni, erano poi state riconosciute dall’istesso Pontefice Pio V tutte l’altre. Oltre di che era precorsa la fama, che gli Spagnuoli, e gli Imperiali, quelli con onativi, questi con la recognizione del diploma, avessero tirato il Fiscale a difendere la reputazione e l’onore delle loro Maestà e cancellar col sangue della famiglia Caraffa la memoria delle offese, d’aver cioè, processato il Cardinale Carlo V, e Filippo II, con nota di tant’infamia, per l’abominevole titolo di chiamare le Maestà Loro fautori d’eretici. Come anche era stata riconosciuta la parzialità di Pio IV verso Carlo, Filippo, e Ferdinando, che per la morte del Cardinale Caraffa, fu subito dato il possesso di Siena al Duca Cosimo de’Medici; ed essendo cose pubbliche, e notorie a Cardinali, cosi che veniva pienamente instrutto Pio V e delle alterazioni suddette, e di tutte le falsità del Fiscale, perchè si trovavano espresse nelle proteste del Cardinale Caraffa, quando supplicò il Papa, che fosse levato il Fiscale, e posto altro Giudice al suo esame : il che non essendo stato, anzi in Concistoro proibito a ciascheduno Cardinale sotto pene rigorose di non interceder grazia per il Cardinal Caraffa, onde a niuno di quei porporati fu concesso di dire il loro parere, per tali accuse fu il Fiscale sentenziato a morte. Fu notato da curiosi osservatori, che tanto gl’Imperiali, che gli Spagnuoli, non avessero fatto alcun ricorso al palazzo per difesa del Fiscale per liberarlo dalla morte; e ciò era avvenuto perchè i ministri suddetti, riconosciutolo per un falsario ed indegno della protezione delle loro Maestà, l’ abbandonarono subito dopo la morte de’Caraffi, e lo cacciarono dalle loro abitazioni, mostrando come si suol dire che avevano desiderato il tradimento, ma non amato, nè proteggere volevano il traditore. Nemmeno alcuni avvocati della corte vollero scrivere in di lui favore. Solo alcuni Signori della casa Mevi amici e parenti del Fiscale, sentendo che era stato condannato alla forca, ricorsero con umili instanze al Papa, perchè gli fosse commutata la suddetta pena, in quella di mannaia, ma non volle il Pontefice rimoversi dalla sentenza già data. Cosi fu al Fiscale annunziata la morte. Il quale strepitando, chiedeva le difese. Ma perchè non l’aveva concedute al Cardinale Caraffa, nè al Duca di Palliano per l’omicidio della Duchessa fatta morire da esso Duca per cosa concernente il suo onore, cosi non gli valsero le proteste, nè i preghi: e benchè strepitasse dell’ingiusti zia, che gli veniva fatta, e della morte obbrobriosa di forca, fugli imposto silenzio, con fargli sapere essere quella sentenza stata promulgata dalla bocca del Pontefice. Cosi stringendosi nelle spalle, e datosi disperatamente nelle braccia de’cappuccini, e di altri padri spirituali, che assisterono alla sua morte, fu condotto poi contrito, e paziente al patibolo con suo gran rossore e vergogna. Dove fu con tutte le vesti Fiscali impiccato per la gola, con gran stupore di tutto il popolo, che concorse a vederlo morire. Diede però segni di gran pentimento, e chiese perdono ad alcuni religiosi per alcuni atti di superbia osati verso di essi, quando corsero ad abbracciarlo: e con molte lagrime baciando un piccolo Crocifisso che portava alla cintura, fu fatto morire nel modo suddetto e lasciato appeso nella forca per lo spazio di cinque ore: e indi posto il cadavere in un’cataletto fu sepolto miserabilmente. Il Pontefice Pio, contro i decreti di Pio IV, che furono pubblicati in Concistoro, che la famiglia Caraffa non potesse per l’avvenire conseguire ufficii, beneficii, e dignità, annullando un tal decreto abilitò la famiglia Caraffa a poter conseguire la dignità del Cardinalato, ufficii, beneficii: e per impossessarla degli spogliati onori creò Cardinale Antonio Rinaldo Caraffa col titolo di S. Eusebio, fece desumare i cadaveri de’Caraffi con pompa funebre, e compose la bolla, che non si potessero condannare a morte i Cardinali, se non giungevano i testimonii de visu al N° 80: e fece ardere il voluminoso processo formato dal Fiscale Palentieri, sotto pena d’inquisizione a chi ritenesse appresso di se quei costituti Fiscali.