Carlo Alberto festeggiato a Genova
Ai primi di ottobre del 1847, Carlo Alberto si allontanò dalle vecchie posizioni antiliberali, emanò numerosi decreti con i quali accordava riforme sulla sia di quanto stava accadendo a Roma ed in Toscana. L’entusiasmo popolare lo travolse a Genova, dove, si dice, conobbe anche un irruento giovane dal nome Nino Bixio. Testo tratto da C. Spellanzon, Storia del risorgimento e dell’unità d’Italia.
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I Genovesi, avanti la concessione delle riforme, meditavano adunque di manifestare al re Carlo Alberto, quando fosse giunto nella loro città, per il consueto soggiorno d’ogni anno, durante il mese di novembre, il loro profondo malcontento.
Ma all’annunzio delle riforme, la scena cambia immediatamente: l’entusiasmo succede al risentimento e allo sdegno, e i Genovesi preparano e fanno al Re riformatore accoglienze addirittura entusiastiche.
Il viaggio del Re, da Torino a Genova, era proceduto rapidamente… per via il Re era stato caldamente applaudito, soprattutto ad Asti e ad Alessandria, dove aveva passata la notte, e a Novi. A Genova le ovazioni furono tali che parvero delirio. Carlo Alberto giunse nel pomeriggio del 4 novembre, e gran parte della popolazione maschile s’era riunita sulla spianata dell’Acquasola, divisa in una ventina di squadre disposte in ordinanza militare, guidate da appositi capi e precedute da molte bandiere: precedeva la squadra della nobiltà diretta dai marchesi Giorgio Doria e Giacomo Balbi-Piovera, il primo dei quali portava la bandiera genovese del 1746; un’altra schiera era composta di preti e frati, i quali avevano alla testa l’Abate di S. Matteo, monsignor Pio Nepomuceno Doria, ed era forse lui quegli che portava la bandiera sulla quale stava scritto “Viva Gioberti”, e fu proprio questo vessillo l’unica cosa che dispiacque al Re in quel giorno; la marchesa Teresa Doria Durazzo trovavasi a capo della squadra delle donne. Le voci e gli applausi levavano al cielo “Carlo Alberto riformatore”, e nemmeno dimenticavano il Papa Pio IX, ch’era del pari acclamato. Il Re, cui le clamorose manifestazioni di popolo lasciavano sempre diffidente e perplesso, questa volta, invece, se ne compiacque col Governatore di Genova, marchese Paolucci, dicendogli: “Ah, Marchese, che manifestazione, e come mai avevano ingannato sull’opinione”, mentre non l’avevano ingannato, ma l’animo dei Genovesi era interamente mutato, dopo la concessione delle riforme. Alla sera, il Re uscì nuovamente, a vedere l’illuminazione: era a cavallo, e l’accompagnavano il Duca di Savoia e due soli scudieri: “dopo un breve tratto – narrava il marchese Vincenzo Ricci al fratello Alberto – fu circondato da una folla duecento giovani, che portavano torce, e lo accompagnarono per tutto il giro: nelle vie strette, qualcuno del popolo prendeva le redini del cavallo del Re e gli diceva: Permetta che lo guidi, perché per questa via Vostra Maestà non è mai passata. Giunto nell’atrio, il Re fece tacere i tamburi della guardia, e tutti gli parlarono individualmente: alcuni discorsi furono forse non opportuni, ma tutti con effusione di cuore: l’ultimo fu un vecchio marinaio che gli disse, Maestà contenti prima tutti questi signori, ma poi pensi anche alla povera gente: il Re rispose a tutti cortesemente, e diede a baciare la mano”: ne è questo soltanto, perché in quella “alcuni gagliardi e distinti cittadini si fecero innanzi supplicandolo a concedere ampia, intera amnistia, egli tutto affabile ma quasi impacciato, rispose che già ci aveva pensato e la prometteva”. Ed è nondimeno in questo momento – secondo racconta Giuseppe Guerzoni – che “un giovane dalle membra gagliarde e dal piglio risoluto… si spicca dalla folla, si avventa dinnanzi al Re, agguanta con pugno robusto le redini del suo cavallo, e con voce secca e squillante gli grida, Sire, passate il Ticino e siamo tutti con voi; ed è fama che a quella audaci parole, che parvero uscire dalla viscere stesse del popolo, e compendiare il patto che fin da allora l’Italia proponeva a Casa Savoia, re Carlo Alberto si turbasse e impallidisse. Il giovane che le aveva pronunziate chiamavasi Nino Bixio”, – episodio che non sappiamo se vero, perché il rapporto della Direzione di Polizia non lo registra, ma che risponde, comunque, al carattere dell’uomo, di Nino Bixio, impetuoso, risoluto, audace, così nell’età giovanile, come in quella matura.
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