Avignone, la città fortezza

Avignone s’era trasformata nel giro di un secolo. Città piuttosto anonima sino all’insediamento della corte papalina, nonché assolutamente impreparata a riceverla, conobbe un incredibile sviluppo urbanistico ed artistico.

L’antichissimo feudo francese degli Angiò di Napoli, fu venduto dalla Regina Giovanna al pontefice Clemente V per ottantamila fiorini d’oro e, per lo spazio di quattordici lustri, fu teatro d’azione di tutta la rete di agenti, messi, vescovi, abati, diplomatici che costituirono l’apparato amministrativo della corte pontificia. Sebbene di fatto dipendente dal re di Francia, ogni pontefice si proiettò sempre con forza nello scacchiere politico italiano ed europeo.

Il meccanismo era semplice: presa la decisione di ampliare il palazzo in cui s’era insediato, ogni pontefice spianava lo spazio ambito, dettava la costruzione e ne faceva ornare le pareti con scene profane da artisti italiani. Negli stessi mesi, si circondava di cardinali ed anch’essi s’affrettavano a costruire le loro ricche dimore sconvolgendo le strutture della città. Sorgevano così edifici dalle forme gotiche, compatte e bianche, e nel giro di pochi decenni, Avignone non bastò più a questa corte così fastosa. Lo sfarzo di palazzi e strade traboccò sulla riva opposta del Rodano, a Villeneuve.

La crescita urbanistica avuta da Avignone, nonché la sua importanza politica, quasi la elessero a rivale di Roma. La corte ribollì di mercanti, pittori, scultori, musicisti ed in Italia la nuova città pontificia divenne una empia Babilonia. In realtà l’influenza dei re di Francia non fu totale. A quel tempo il sud del Paese aveva una società ed un mondo culturale abbastanza indipendenti rispetto alla Francia settentrionale, da cui proveniva la maggior parte dei consiglieri del re. Oltretutto lo spostamento della sede ad Avignone fu effettivamente anche qualcosa di necessario per sfuggire alla lotta intestina tra le famiglie potenti degli Orsini e dei Colonna.

Il Palais des Papes, Palazzo dei Papi, frutto congiunto dei migliori architetti francesi dell’epoca, Pierre Peysson e Jean du Louvres, è il vero modello dell’architettura d’Avignone. Sembra condensare tutti i tratti dell’esistenza della corta pontificia fuori da Roma. Inizialmente non era che una torre che gradualmente fu trasformata in una fortezza medievale inespugnabile, costruita nell’austero splendore dell’architettura gotica. L’imponenza delle torri, lo spessore delle mura, il gioco di merli e feritoie conferiscono un severo aspetto militare. Tanto è che Benedetto XIII (antipapa), vi sostenne l’assedio di Geoffroy le Meingre ed anche suo nipote Rodrigo de Luna, Rettore del Contado Venassino, resistette all’assedio delle truppe di Carlo di Poiliers e, per meglio garantirne la difesa, fece radere al suolo tutte le case circonvicine creando l’odierna piazza.

Avignone fu a tutti gli effetti una città fortezza. Benedetto XII impose tetti di tegole con merli e piombatoi, torri munite di depositi d’armi e posti di guardia. Nonostante la sua austerità, il pontefice aveva persino considerato, su consiglio di Roberto d’Angiò, di ingaggiare Giotto per far decorare il suo palazzo, ma la morte del pittore impedì tutto e fu Simone Martini ad affrescare gli ambienti.

La stessa architettura si ritrova nella Chiesa del Calvario, interna al palazzo, e nelle altre sparse per la città, sempre munite, coi loro campanili, di feritoie, merli e torri massicce.  Spettacolari sono i baluardi, in parte sopravvissuti, fatti costruire nel 1338 da Innocenzo VI per sottrarre la città agli attacchi dei predoni della Francia meridionale.

Sull’altura di Rocher des Doms, la Cattedrale di Notre-Dame des Doms era così militare che addirittura fu agevole, nel Quattrocento, trasformarla in roccaforte per ospitare l’artiglieria. Da qui, del resto, si ha la più bella visuale della Valle del Durance con un colpo d’occhio su una splendida porzione di Provenza, che abbraccia l’intera città e la circostante campagna tagliata dal Rodano. Era decisamente un ideale punto d’avvistamento.

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

 

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