Corrado II ed il Constitutum de beneficiis

Il Constitutum de beneficiis dell’Imperatore Corrado II il Salico, questo editto sui benefici del regno italico, può ben dirsi l’atto di nascita del feudalesimo perché riconosce giuridicamente la pratica dell’irrevocabilità e dell’ereditarietà dei piccoli feudi.


Storicamente fu un colpo per l’alta feudalità, in particolare per il grande feudalesimo ecclesiastico d’Italia. Qui Pavia si era ribellata distruggendo il palazzo imperiale, poi fu la volta di Lucca, di Parma, di Milano. Ovunque c’erano discordie interne alla feudalità. Proprio in Lombardia, l’Arcivescovo di Milano, Ariberto di Intimiano,era venuto in contrasto con i feudatari minori che rivendicavano il diritto di lasciare in eredità ai loro figli i propri feudi, cosa prevista per gli alti feudatari dal Capitolare di Quierzy. Corrado II si schierò al loro fianco ed a ciò seguì l’arresto dell’arcivescovo che fino ad allora era stato stretto alleato dell’Imperatore. Il fatto suscitò forte sdegno tra i milanesi che si sollevarono contro l’imperatore costringendolo ad abbandonare l’Italia. Ormai però le cose erano cambiate col Constitutum de beneficiis: i vassalli, padroni a pieno titolo dei propri feudi, non furono più tenuti a rispondere ai grandi feudatari ma ad un tribunale di loro pari. Per le città d’Italia, oltretutto, quest’autonomia dai feudatari maggiori scatenò un lento cambiamento economico. L’economia terriera era insufficiente per domini di limitata estensione, così i piccoli feudatari iniziarono ad occuparsi dei commerci, mentre i commercianti cominciarono ad investire i propri guadagni nell’acquisto di proprietà terriere. Di fatti una fetta dell’aristocrazia si imborghesì, mentre la borghesia si costituì in aristocrazia.

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Nel nome della santa ed individua Trinità, Corrado per grazia di Dio imperatore augusto.

A tutti i fedeli della santa Chiesa di Dio e nostri, presenti e futuri, vogliamo sia noto che, per riconciliare gli animi dei signori e dei valvassori, e affinché siano sempre concordi e servano fedelmente e devotamente noi e i loro signori, ordiniamo e decretiamo fermamente che nessun vassallo di vescovi, abati, abbadesse, marchesi, conti, ecc. perda il proprio feudo senza una colpa determinata e provata, ma soltanto secondo la consuetudine dei nostri predecessori ed il giudizio dei suoi pari.

Se sorgerà contesta tra signore e vassallo, anche quando i pari abbiano giudicato ch’egli deve essere privato del feudo, s’egli dirà che il giudizio è ingiusto e fatto per odio, conservi il feudo, sinché il signore, e colui ch’egli accusa, vengano con i loro pari alla nostra presenza, ed ivi la causa sia terminata con giustizia…

Ordiniamo pure che se un valvassore, sia dei maggiori che dei minori, se ne andasse da questo mondo, suo figlio abbia il feudo. Se poi non abbia un figlio, ma un nipote da figlio maschio, ugualmente questi abbia il feudo, conservandosi l’uso dei vassalli maggiori di dare cavalli ed armi ai propri signori. Se non avrà lasciato un nipote, ma un fratello legittimo per parte di padre, anche se questi avesse offeso il signore, qualora voglia dargli soddisfazione ed essere suo vassallo, abbia il feudo che già fu di suo padre.

Inoltre proibiamo in ogni modo che un signore osi fare cambio del feudo dei suoi vassalli senza il loro consenso.

 

 

 

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