La Battaglia di Rovereto
La Battaglia di Rovereto ebbe luogo il 18 fruttidoro dell’anno IV della rivoluzione francese (4 settembre 1796 secondo il calendario giuliano) e si svolse fra le truppe francesi dell’Armata d’Italia, condotte da Napoleone Bonaparte, e le forze austriache del generale Davidovitch. Abbiamo già presentato la narrazione delle vicende fatta direttamente da Napoleone. Quella che segue è una relazione tenuta da Girolamo Andreis all’Accademia degli Agiati il 19 luglio del 1854, estratta da Il Messaggero Tirolese del 1834.
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Il giorno 16 agosto dell’anno 1196 la provinciale Deputazione eletta pel Tirolo meridionale bandiva dalla sua sede in Bolzano un editto annunziante ai tirolesi italiani, che il pericolo della guerra accostavasi ai confini della provincia, ed eccitavali ad un’ora a dare novelle prove dell’innato loro valore coll’aumentare il numero delle compagnie, che stavano alla difesa dei confini medesimi. A questo tempo era subentrato al comando dell’armata imperiale d’Italia il generale Wurmser, che all’antica età sua accoppiava un antico militare valore. Calando questo intrepido guerriero dal Tirolo negli ultimi giorni di luglio con un esercito floridissimo, e di fresco raccolto, si accinse ad assalire nelle italiche contrade la vincitrice armata francese. Favoreggiato in sulle prime dalla vittoria, ei mise ben presto lo sconcerto nelle file nemiche. I suoi stendardi già sventolavano gloriosamente nei territori di Verona, di Brescia, e di Mantova. I mantovani in ispecie il salutavano liberatore dell’assedio, che da qualche tempo gli affliggeva terribilmente. Ma con quella stessa rapidità, colla quale avea riconquistato tanto paese, egli dovette fatalmente abbandonarlo. L’esito infelice della battaglia di Castiglione, nella quale misurò il suo valore col novello eroe della Francia, lo metteva in avvertenza, che la incostante fortuna non più a lui inclinava con lieto viso, e che per iscansare un maggior danno nel manomesso suo esercito, che da principio ammontava a 50 mila uomini, il miglior partito era quello di ricondurlo infra quelle stesse alpi, da cui era pochi di prima disceso. Veggendolo i tirolesi indietreggiare inclinavano oggimai a persuadersi, che la tempesta verrebbe a scagliarsi sul loro territorio, e all’apparenza del funesto avvenire i loro animi piuchemai impaurivano, dico piuchemai perché nel trascorso mese di giugno eglino soffersero un consimile timore, attesa la notoria ritirata eseguita sotto il governo dell’austriaco generale Beaulieu, il comandante antecessore di Wurmser.
Pel temuto vicino arrivo dei francesi molti abitanti del piano, spaventati forse dalle ruberie, dal saccheggio, e persino dai violamenti da loro commessi sul territorio di Genova, e del Piemonte, come se ne diceva, ripresero l’emigrazione, alcuni rifuggendo in lontano paese dell’Austria, e la maggior parte in vicini villaggi del monte, dove più facilmente potevano scontrare i tristi effetti d’una vincitrice soldatesca nemica il più delle volte guidata dall’insolenza, e da una sfrenata ingordigia.
Il generale Buonaparte, dopo il successo di Castiglione, ammirava lo scompiglio insolito nell’armata imperiale, e intanto le militari sue vedute gli suggerivano essere giunto opportuno momento di guidare i suoi soldati alla volta del Tirolo, il cui possesso parea da qualche tempo vagheggiasse. — Di fatto lo spaventoso fragor del cannone, che dai tirolesi udivasi di tanto in tanto echeggiare infra le valli dei loro monti sul finire d’agosto, recava loro il tremendo annunzio, che l’armata repubblicana avvicinavasi al territorio della provincia. In questo mentre il vecchio Wurmser, che l’arte della guerra per eccellenza sapeva, affidava al generale Davidovich per la difesa del Tirolo, che allora consideravasi l’antemurale della germania, circa 20 mila dei suoi combattenti, la maggior parte de’ quali fece stanziare presso le trincee e di Marco a sinistra dell’Adige, e di Ravazzone, o sia del luogo detto al Mossano, situato a destra di questo fiume, ed egli alla testa di un maggior corpo prendeva la direzione di Bassano scortato dall’idea, che una cotal diversione il condurrebbe più facilmente a liberar di bel nuovo gli assediati di Mantova, o pure, come fu anche supposto, per assalire da tergo l’esercito di Buonaparte, se questo avesse ardito penetrare, si come credevasi, nelle viscere della tirolese provincia.
Il giorno 5 settembre il furore delle armi era entrato in Tirolo, poiché in sul tramontare del sole i repubblicani si affacciavano alle trincere imperiali di Marco, e di Ravazzone in due corpi divisi, l’uno dei quali veniva dalla strada imperiale di Verona comandato personalmente da Buonaparte, e l’altro da quella, che al lago di Garda conduce, comandato dal generale Voubois. L’impreveduta comparsa di tali due corpi fece accorto Davidovich, che le posizioni di Marco, e del Mossano non erano atte abbastanza per contrastare alla maggior forza assalitrice un ulterior avanzamento. Un comando di lui fa perciò retrocedere nella notte, che precede il di 4, il meglio della sua gente, lasciando intorno a quattro battaglioni a stanca, e circa altrettanta forza a destra dell’Adige, onde mediante una breve difesa dar tempo bastante al trasporto delle artiglierie, ed al partire del carreggio delle munizioni, e delle bagaglie.
Fermo Buonaparte nell’idea di proseguire il proprio disegno, e di non interrompere il corso al benefizio della sorte, e, stretto fors’anche dal bisogno di vettovagliare la sua soldatesca, e di provveder di foraggio i suoi cavalli, il che non potea ottenere nel preso alloggiamento, allo spuntare dell’aurora del giorno 4 si disponeva ad attaccare i difensori delle trincee di Marco comandati dal generale Spoik. All’attacco in su questa sinistra riva dell’Adige rispondeva come per eco quello della destra, di cui farò cenno in appresso. Gl’imperiali con un coraggio del pari ostinato, che sorprendente spiegavano una gigantesca resistenza ammirata con alla meraviglia dalla parte avversaria. Ma né l’animo, col quale aspettarono, e sostennero l’affronto, né il moltiplicare del loro ardire, né i militari provvedimenti eran tali da poter arrestare il corso del nemico, che sopravanzava per la moltitudine, ed era fatto ardimentoso per le passate vittorie. l quattro battaglioni alquanto sbaragliati dovettero perciò ritirarsi dalle stanze di Marco verso le ore 9 di mattina, e verso il meriggio appariva Buonaparte a minacciare Rovereto senza verun’altra opposizione, che quella di tre o quattrocento prodi, che con pochi ‘cavalieri’, ed alla spicciolata contrastavangli ad ogni tratto il terreno. Veggendo Buonaparte questa incessante ostinatezza, e non penetrando egli forse da quali forze ella fosse spalleggiata, allorché giunse nel villaggio di Lizzana, distaccava dal suo esercito due piccolo colonne, una delle quali mandava con un cannone per la via dei colli dietro il castello di Lizzanoa, o per la strada di Cornacalda, indi per quella sopra la Madonna del Monte, e l’altra per istrade recondite a guazzare il torrente Leno, perché da questa via entrasse nella città, la quale per esso Leno e dal sobborgo di s. Tommaso divisa.
Pochi momenti dopo questo distaccamento il monte appellato delle Laste, od anche delle Porte, posto a levante del sobborgo, rappresentava ai roveretani una nuova faccia. Il verdeggiante di lui suolo era ad un tratto sparito al loro sguardo, ed era invece sottentrato il tricolore della repubblica: più centinaia di francesi sur esso arrampicatisi l’avevano coperto, e facevano dalla sua eminenza tempestare i colpi d’archibugio e contro alcuni austriaci ivi con loro affrontatisi e contro alcuni altri, che con un cannone s’erano postati sul ponte presso la porta cittadina, distrutta nell’anno 1820, e sopra le case della città. La colonna, che avea già guadato il Leno, avvicinavasi intanto essa pure alle Case di Rovereto per la strada delle ghiaie, e per quella di Sacco. Accortisi gl’imperiali posti sul ponte e nella piazza contigua del’ Podestà, che venivano assaliti non solo nel fianco, e nella fronte, ma ben anco alle spalle, si diedero immantinente alla fuga non senza condur seco il cannone col quale assicurar volevano il passo del ponte medesimo. In questo mentre la vanguardia repubblicana del centro capitanata dal generale Massena mostravasi in parte nel sobborgo avanti la chiesa parrocchiale di Santa Maria. Quivi fece alto per alcuni istanti, e poscia molti tamburi suonarono strepitosamente il segno della battaglia. Ad un cotal suono intorno a due o tre mila fanti con alcuni dragoni si accingevano i primi ad entrare in città per la strada imperiale diretti da quel medesimo colonello Rampon, al cui valore è attribuito dalla storia la gloria della battaglia di Montenotte, che il varco aperse alle gloriose imprese di Buonaparte. La loro entrata fu eseguita velocemente, e battagliando d’intelligenza colla colonna sinistra, assistiti dai continuati tiri d’archibugio della destra, contro i pochissimi austriaci a piedi, e a cavallo, che tuttavia si trovavano sparsi qua e là per le contrade. La scena terminossi senza grave spargimento di sangue: solamente sei individui austriaci, oltre a due cavalli, rimasero vittime d’una vana resistenza essendo stati colpiti dalle piombate d’archibugio, due cioè nel sobborgo di s. Tommaso, uno nella piazza del Podestà, un altro (era questi un’ufficiale d’ussari) nella piazza dell’erbe, e due lungo il corso nuovo. Durante questo fatto, che succedeva nell‘interno della città, le porte, le botteghe, e le finestre erano chiuse: un profondo silenzio misto di spavento, e di timore dominava negli abitanti rinchiusi nelle rispettive case, sui tetti delle quali udivann il cadimento della scaglia, che lanciavano i repubblicani impadronitisi del monte.
Vinta per tal modo dai francesi la città di Rovereto entrava poscia il resto dell’armata e con esso entrava pure a cavallo il generale Buonaparte: i generali Massena, Berthier, Augereau, e Murat, nomi, che con esso lui avranno eternamente negli annali della guerra, gli stavano al fianco.
Mentre cosi camminavano le case da questo lato, il corpo repubblicano, che dianzi era giunto a Mori dal lago di Garda sotto il comando del generale Vaubois, si avventava, come più sopra è toccato, contro gli austriaci, che difendevano al Mossano la sponda destra dell’Adige. Questi rispondevano animosamente all’assalto, e sfolgoravano gli assalitori colle apparecchiate artiglierie, e coi tiri d’archibugio. Il generale Laudon, nipote del celebre maresciallo di questo nome, li comandava. La mischia imperversava ognor più con un vivissimo fuoco. Il rimbombo del cannone, e della moschetteria, che da ivi partiva confondevasi in tutta la valle Lagarina con quella della parte a sinistra dell’Adige, e contribuiva ad aumentare lo spavento dei di lei abitanti. Per buona ventura non corrispose l’effetto di questo combattimento al grave timore, che nelle lagarine genti aveano fatto nascere l’impeto, ed il fracasso con cui è stato intrapreso dal principio alla fine. Poche furono le ferite, pochissime le morti, poiché in ambi le parti non si noveraron che intorno a 12 morti, o a 25 feriti, numero ad un di presso minore della metà dei morti, e feriti del contemporaneo combattimento di Marco: qui merita però menzione la perdita fatta da’ repubblicani nella zuffa di Marco del loro generale Duhois, che tocco da mortale ferita fu condotto nella città di Ala, dove fini i suoi giorni, e in quella di Ravazzone dell’aiutante del generale Voubois, che una palla di cannone distese issofatto a terra morto.
Allorquando i francesi prendevano possesso di Rovereto gl’imperiali della sponda destra dell’Adige abbandonavano la posizione del Mossano conservata nel conflitto, e volgevano da quella parte il cammino alla volta di Trento. All’opposto il corpo francese, che stava loro a fronte traghettava l’Adige e Sacco nell’istesso giorno, e in quello susseguente, ed univasi col Corpo guidato da Buonaparte.
I vantaggi della giornata riportati sino a questo punto non avevano ancora bastantemente appagato l’agguerrito animo del francese conquistatore. Egli ben conosceva oggimai, che dalla speditezza del combattere dipende il più delle volte la vittoria, e perciò, avido com’era di gloria, decideva, che gli austriaci non avessero ancor posa, e che le reliquie dei medesimi fossero perseguitate, e conquise nel loro scombuglio, priacchè avessero a rannodarsi con altra truppa. Laonde appena entrato nel palazzo del conte Fedrigotti in suo quartiere prescelto, dettava egli novelli ordini onde mandare ad effetto il tessuto proponimenio. Del suo volere ne affidava l’esecuzione al generale Massena. Questo fulmine di Marte, dopo aversi ristorato con tre o quattro uova sotto il portico del palazzo anzidetto, si metteva alla testa della sua legione, e di concerto col generale Voubois facevasi immantinente ad espugnare gli imperiali al castello della Pietra. Le forze di questi ivi trincerate sommavano a circa Cinque mille uomini, e quelle degli assalitori repubblicani erano di due o tre migliaia superiori. Lo scontro succedeva fra le due alle tre ore dopo il meriggio: gl’incominciati, e spesseggiati tiri di cannone ne porgevano l’avviso al duce repubblicano, il quale per li suoi generali, e commissari di guerra stava ordinando al municipio di Rovereto:
- il subitaneo provvedimento di carne, pane, vino, avena, fieno, e scarpe pel bisogno urgentissimo dell’armata francese che si faceva ammontare ad oltre 50 mille uomini.
- 2 La pubblicazione d’una sua grida stampata a Milano il 30 agosto nelle tre lingue francese, italiana e tedesca, e indiritta agli abitanti del Tirolo, ed in ispecie ai difensori, i primi dei quali venivan assicurati, che la religione, le costumanze, e le proprietà dei sottomessi comuni saranno rispettate e i secondi esortati a ritornare tosto ai loro focolari.
- Il subitaneo aprimento delle botteghe, delle locande e delle osterie.
- La descrizione di tutti gl’individui del paese al soldo dell’lmperatore d’Austria, e di quelli arrolati nelle compagnie di difesa.
- La consegna al comandante della piazza di tutte le armi possedute dagli abitanti.
- Il sequestro della cassa cittadina, e del pubblico presto, al qual sequestro succedette dopo poche ore l’ordine del trasporto del rinvenutovi importo di F. 19750 dichiarato di proprietà della repubblica francese in nota al tenore della precitata grida.
Oltre queste disposizioni lo stesso Buonaparte richiedeva vocalmente ai due cittadini rappresentanti de Telani e baron Todeschi, all’occasione, che a lui s’insinuarono per fargli visita, e per raccomandare alla di lui protezione la da loro amministrata città, una narrazione in succinto della costituzione, e dello stato fisico e morale del paese.
Intanto al castello della Pietra ognor più accendevasi il fuoco delle artiglierie, che d’immense nubi di fumo il cielo adombrava. L‘ostinatezza del combattere era vicendevole Buonaparte compariva ‘a spron battuto sul suo corridore nel bollor della pugna per incalzarla vie maggiormente, e per darvi l’ultimo colpo. Ma in sul declinare del giorno andava finalmente declinando la vigorosa resistenza opposta da gli imperiali e cessava perciò il terrore del cannonamento, che parea cagionar dovesse il totale esterminio di tutti. Sen avvedeva Massena, il guidator della vanguardia, e perciò i suoi animava, rincalzava nella fronte, facevali arrampicare per difficili rupi onde meglio abbattere il nemico nel fianco, coll’esempio inferocivali nell’accanita tenzone a fine di poter presto superare le austriache trincee. All’incontro il condottiero imperiale, che invano dall’un canto ormai si puntava per raffienare l’impetuoso torrente, che da più lati assalivalo, e che avea giri dall’altro canto riportato lo scopo di salvare il grosso dell’artiglieria, e delle bagaglio, raggranellava le truppe affaticate dal battagliare, ne sollecitava la ritirata per ricongiungerle col resto dell’esercito, già stanziato al più sicuro ritegno di Lavis, e colla perdita di alcuni centinaj di prigionieri con pochi cannoni, lasciava sul campo abbandonato alle mani nemiche alcuni morti, che con quelli della parte repubblicana, ascendevano a circa 30, numero approssimativamente eguale a quello dei feriti tra quali annoveravasi uno degli aiutanti di Buonaparte.