Carlo Emanuele IV terrorizzato dalla Rivoluzione
Nell’ottobre del 1796, Carlo Emanuele IV, succeduto a Vittorio Amedeo III, represse nel sangue una cospirazione rivoluzionaria scoppiata a Pallanza, nell’alto novarese. Fu condannato alla forca l’avvocato Giuseppe Antonio Azari, il 19 novembre del 1796, che era il principale organizzatore del moto. Il corpo d’Azari come monito per la sua gente, dopo l’impiccagione fu bruciato.
L’anno dopo, nel luglio del 1797 Carlo Emanuele IV represse una seconda rivolta, stavolta scoppiata ad Asti dove i giacobini avevano costituito una repubblica di cui era stato eletto presidente l’avvocato Secondo Arò. La resistenza degli insorti non durò molto e nel cuore della notte, il castello di Asti fu abbandonato. Arò, non volendo fuggire, rimase in città e fu fucilato il 2 agosto del 1797.
Infine un secondo tentativo rivoluzionari a Torino portò all’arresto del medico Ignazio Boyer che aveva guidato i rivoltosi ad impadronirsi dell’arsenale della città e delle sue porte in combutta con il Maresciallo delle regie Truppe, Giuseppe Berteu. Il due furono fucilati il 7 settembre del 1797.
In queste tre congiure Carlo Emanuele IV fece comminare complessivamente 61 condanne a morte.
C’è da dire che Carlo Emanuele fu profondamente provato dagli effetti della Rivoluzione Francese che aveva portato alla morte dei suoi cognati Luigi XVI e Maria Antonietta. Per lui il regno era una “corona di spine” e se suo padre, con l’Armistizio di Cherasco, aveva dovuto cedere parte del Piemonte ai francesi, guadagnando l’appellativo di “re delle marmotte”, lui dovette cedere il resto, mantenendo unicamente la Sardegna. Più tardi riparò a Napoli dove ancora oggi è sepolta sua moglie, Maria Clotilde di Francia. Poi tornò a Roma e, il 4 giugno 1802, a Palazzo Colonna, abdicò a favore di suo fratello Vittorio Emanuele I.
Si può dire che il terrore della rivoluzione segnò profondamente la sua esistenza. A testimoniare ancora oggi la sfortunata sorte del sovrano sabaudo sono le parole di Vittorio Alfieri: “Infelice e purissimo principe”. Fu devoto alla Sacra Sindone e divenne membro del terz’ordine di San Domenico e poi gesuita. Per suo volere fu sepolto nella Chiesa di Sant’Andrea con l’abito della Compagnia di Gesù, a Roma, dopo aver donato i suoi averi ai poveri della Città eterna.
Autore articolo: Angelo D’Ambra