Siena e le sue contrade
Riportiamo un interessante articolo tratto dalla rivista “Roma, Antologia Illustrata” del 30 aprile del 1876, sulla storia di Siena e del suo palio.
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Siena fra le città italiane rette a governo di popolo fu l’ultima a perdere la sua libertà. Fatta compagna di servitù a Firenze sotto lo scettro mediceo, le furono conservate fino a che regnò quella dinastia le prerogative di Stato autonomo, leggiero compenso ai patiti danni, ma cosa grata ad un popolo, che si altamente sentiva il patrio amore.
Frattanto l’antica operosità mercantile degl’italiani andava gradatamente a spegnersi, e passando a straniere nazioni, ne formava la forza e l’opulenza. Siena risentì i funesti effetti di questa trasformazione economica, nè malgrado li generosi sforzi di alcuni suoi concittadini potè ravvicinarsi alla perduta grandezza.
Per la conservazione de’ suoi diritti il popolo senese si costituì militarmente, dividendo la città in Terzi, ed ognuno di questi in contrade. Ad ogni Terzo fu proposto un Gonfaloniere, ed a ciascuna contrada un capitano, con due alfieri e tre consiglieri, dipendenti tutti dalla suprema autorità del capitano del popolo. Dapprima queste contrade furono sessanta, ma dopo una micidiale pestilenza vennero ridotte a quarantadue.
Per i Senesi la religione e la patria erano unite in modo indissolubile; ond’è che riconoscendo dalla intercessione dei loro Santi gli eventi fortunati, celebravano in special modo e con splendide feste l’Assunzione di Maria Vergine, facendo così omaggio alla loro celeste Patrona di ciò, che attestava la potenza della propria città. In quest’ annuale ricorrenza la Signoria suprema invitava le città e le terre del suo dominio, non che i Conti e signori da essa ricevuti in accomandigia a mandare ambasciatori, che ve le rappresentassero. E così nel pomeriggio del 14 agosto, dopo il pranzo ufficiale, e dinnante a solenni Vespri, accompagnavasi alla Cattedrale il cereo votivo, e la detta costumanza compievasi con edificante religioso rispetto fino a quei giorni, in cui fu chiamato civile progresso il negare il culto a Dio. Tornata la Signoria dalla chiesa metropolitana, il popolo festante sotto le bandiere delle quarantadue Contrade, portava la propria offerta individuale di torcetti di cera. Le Contrade non meno sollecite e valorose per la difesa della patria, furono sempre l’anima e la vita degli spettacoli popolari dati in Siena nelle feste di S. Maria di agosto, come in altre circostanze. Questi spettacoli ritennero spesso il carattere dell’indole e della tempra fiera ed energica di coloro, i quali ne erano attori, e spettatori. Alcuni, come le finte battaglie combattute con pertiche, e sassi, o con targhe e scudi, erano comuni a quasi tutte le città d’Italia. Altri come i torneamenti e le giostre ebbero maggiore importanza tanto negli Stati monarchici, quanto presso le Repubbliche. Noi ci limiteremo a dare qualche cenno storico degli spettacoli dai quali trassero la loro remota origine le attuali feste senesi. Sull’ entrare del secolo XVI ai combattimenti con aste e picche a guisa di giostra andarono sostituendosi le caccie de’ tori, e delle bufale, e di altri animali selvaggi. Costruivasi a quest’ oggetto nell’intorno della piazza del campo, un forte steccato il quale dovea contenere le fiere ed i combattenti. A questi spettacoli, che lo ingentilirsi dei costumi giustamente proscrisse, le quarantadue Contrade intervenivano con grande pompa non più però singolarmente, ma riunendosi a due a due, e talora in tre. La più celebre delle caccie fu quella eseguita nel 1546. Solennizzandosi in quell’anno le feste in onore di Maria SSma Assunta in cielo, si volle pure rendere straordinariamente decorosa la caccia dei tori. Ciascuna Contrada delle 17 che v’intervennero era accompagnata da uomini a piedi ed a cavallo con svariatissime foggie di armi, e con allegoriche rappresentanze. Questi indossavano ricche divise, ornate di gioie, di trine d’oro e di argento, sicchè a giorni nostri potrebbe sembrare cosa incredibile. A tutto ciò corrispondevano gli ornamenti della piazza, che rappresentava un vero e vaghissimo giardino. Nel centro di questo era posta una solida tavola, sulla quale coloro che aspiravano a maggior premio dovevano tenere una mano senza mai allontanarla, combattendo con l’altra armata solamente di una spada, contro le belve inferocite. Nel secolo XVI cessarano le caccie dei tori ed incominciarono le corse con le bufale montate da un fantino. Le Contrade continuarono ad intervenirvi con apparato quasi militare conducendo con numerosa scorta la propria bufala. Alle macchine antiche furono sostituiti dei carri, ma vennero conservate le allegoriche rappresentanze, ed a quella che veniva giudicata la più bella, conferivasi un premio, ed altro premio conseguiva la Contrada vincitrice nella corsa. Ma anche l’uso di questi animali nelle corse, per sè stesso molto pericoloso, venne per sempre abolito nel novembre del 1650, prescrivendosi per l’avvenire doversi adoperare i cavalli. I corridori o fantini in coteste corse servivansi di lunghe ed elastiche fruste, con le quali cingevano alla vita i loro competitori, cosicché facilmente li rovesciavano da cavallo; ma per la morte accaduta di un fantino nel novembre 1650 furono proibite le fruste, e ad esse surrogati i nerbi. Portata a compimento dalla pietà dei Senesi la bella chiesa votiva di Provenzano, fu stabilito doversi correre con palli nel giorno sacro alla Visitazione di Maria Vergine, alla quale venne quello consacrato, ed è il pallio che si corre tuttavia nel dì 2 luglio di ciascun anno da soli dieci cavalli, conforme venne per decreto civico ordinato nel 1719, dopo cioè, che le Contrade furono limitate al di 17, stante il grave tumulto che verificossi nel 1675 in causa di dubbio sorto tra alcune delle Contrade medesime sulla ragione della vincita del pallio, nella qual evenienza i giudici stessi furono acerrimamente insultati.
P.C.C.