Storia del Cristianesimo: il rogo di Ōmura
Il 25 agosto 1624, cinque cristiani furono giustiziati “a fuoco lento” per il crimine di portare Cristo ai giapponesi. Bruciarono nel rogo di Ōmura, a est di Nagasaki, il gesuita Miguel Carvalho, i francescani Luís Sotelo e Luís Sasada, il domenicano Pedro Vázquez e Luis Baba, un francescano laico giapponese che fece la sua professione religiosa prima del suo martirio.
Era passato un decennio da quando lo Shogun Tokugawa Ieyasu aveva promulgato la sua campagna anticristiana e tutti e cinque i santi martiri sapevano benissimo che una morte orribile attendeva chiunque fosse stato catturato durante una messa o un’iniziativa di evangelizzazione.
Nella prigione di Ōmura i religiosi s’erano comportati come in un convento, eseguivano i loro esercizi religiosi e celebravano la Santa Messa, facevano di tutto per ascoltare le confessioni dei cristiani incarcerati e ciò esacerbò gli animi dei loro aguzzini.
Padre Miguel Carvalho, gesuita quarantacinquenne, era entrato in Giappone nel 1622 su una nave mercantile portoghese, travestito da soldato. I tre francescani, travestiti da mercanti, erano stati tra i primi a recarsi ad evangelizzare il Giappone dopo che Paolo V aveva autorizzato anche gli altri ordini a farlo. Pedro Vázquez, domenicano, s’era travestito da soldato giapponese ed era riuscito ad accedere alla prigione di Nagasaki, dove aveva ascoltato le confessioni di prigionieri cattolici destinati all’esecuzione.
Quando ricevettero notizia della loro imminente morte cantarono il Te Deum. Alle dieci del mattino furono condotti in barca nel luogo dell’esecuzione. Tutti insieme furono portati sul terreno dell’esecuzione con corde al collo e trasportando croci. Nella Lettera annua del Giappone dell’anno 1624 si legge: “Arrivarono al luogo designato per la loro morte, un campo chiamato Hokonohara, ringraziarono coloro che li avevano accompagnati… si sollevarono sulle croci e cominciarono a recitare i salmi con voce forte; quando padre Carvalho, percependo la presenza di una grande moltitudine accorsa, rivolgendosi a quella gente disse che erano cristiani e che accettavano la morte liberi per la fede di Cristo. L’ammirevole serenità dei loro volti era evidente agli spettatori che, meravigliati, pensarono che questi uomini parevano andare ad una festa piuttosto che a morte”.
Fu creato un cerchio con Sotelo al centro. Il primo a morire fu il fratello Luís Baba, il giapponese. Liberato dalle corde ardenti, corse alla posta dei suoi compagni sacerdoti per inginocchiarsi e baciare le mani, “esortando ad alta voce i fedeli ad abbracciare la fede di Cristo, in cui solo c’è la vera salvezza”, tornò poi sul rogo volontariamente resistendo senza muoversi nella furia delle fiamme.
Fu poi la volta di padre Carvalho, e poi padre Luis Sasada, un altro giapponese nativo che tentò, come Luis Baba, di soccorrere i preti ma non riuscì a muovere i piedi. Sopravvissero più a lungo i padri Luís Sotelo e Pedro Vázquez, che sopportarono il tormento di un fuoco lento e fumoso di paglia e altri rifiuti asciutti accumulati ad arte in due mucchietti ai loro piedi per rendere la loro morte il più tortuosa e tortuosa possibile al fine di spingerli ad una pubblica apostasia. Inutile dire che questi due campioni di Cristo restarono tre ore a bruciare sul fuoco, sempre immobili, consumandosi tra le fiamme.
Dopo che questi martiri morirono, i soldati bruciarono i loro resti in un altro fuoco e presero le loro ceneri in una barca per sbarazzarsene in mare, per impedire che fossero portati via dai cristiani, anche se un testimone riuscì a raccogliere alcune delle ceneri di Pedro Vásquez e le fece depositare in una chiesa gesuita nelle Filippine.
Autore articolo: Angelo D’Ambra