26 febbraio 1266, la battaglia di Benevento
Quanti conoscono la battaglia di Benevento? Nel 1261 saliva al soglio pontificio papa Urbano IV. In quegli anni il partito ghibellino, sostenuto da re Manfredi, andava riprendendo forza tanto da trionfare in Toscana a Montaperti e nella stessa Roma; bisognava dunque battere Manfredi al più presto. Il mezzo per riuscirci fu offrire il feudo dell’Italia meridionale a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, Luigi IX. A Carlo, profondamente ambizioso, l’offerta del papa parve vantaggiosa ed i negoziati seguirono pure col nuovo pontefice Clemente IV. Ai primi del 1266 l’angioino quindi calava nella Penisola forte di un valoroso esercito di milizie feudali ed avventurieri. Invano Manfredi cercò di far fronte alla minaccia mentre i baroni del regno passavano dalla parte di Carlo. Avvenne così che, nello scontro decisivo presso Benevento, quell’anno Manfredi, sostenuto solo da scarse milizie tedesche e da fedeli truppe saracene, fu sconfitto e ucciso. A 750 anni esatti dall’episodio riportiamo la narrazione della battaglia che alcuni cronisti fecero all’epoca.
***
La battaglia fu aspra e dura, e durò un gran pezzo che non si sapeva chi avesse il sopravvento. A un tratto, non si sa chi fosse il primo, si levò un grande grido fra le schiere francesi: “Agli stocchi, agli stocchi, a ferire i cavalli!”. E così fu fatto. Per la qual cosa in breve i Tedeschi furono molto malmenati e quasi volti in fuga. Il re Manfredi, vedendo i suoi che non potevano sostenere l’urto, incitò la sua gente a seguirlo in battaglia. Ma la maggior parte dei baroni pugliesi e del regno, o per viltà o perchè vedevano i loro di avere la peggio, e chi disse per tradimento, abbandonarono Manfredi fuggendo chi verso l’Abruzzo e chi verso la città di Benevento. Manfredi, rimasto con pochi, fece come valente signore, perchè volle piuttosto morire in battaglia da re che fuggire con vergogna e mentre si metteva l’elmo, un’aquila d’argento che aveva come cimiero, gli cadde davanti sull’arancione. Ed egli ciò vedendo, sbigottì molto e disse ai baroni che gli eran di lato: “E’ un segno di Dio”. Ma non venne meno al proposito fatto e subito si mise alla battaglia, non con insigne reali, per non essere riconosciuto, ma come un qualsiasi barone. I suoi poco durarono, che già erano in fuga: subito furono sconfitti e ilre Manfredi morto in mezzo ai nemici. Manfredi fu cercato per più di tre giorni, chè non si ritrovava; alla fine furiconosciuto da un ribaldo di sua gente, che trovato il corpo, lo mise sopra un asino e venne gridando: “Chi compera Manfredi, chi compera Manfredi!”. Questo ribaldo fu bastonato da un barone del re, furon fatti venire tutti i baroni prigionieri, e, domandato a ciascuno se quello era Manfredi, tutti timorosamente dissero di sì. Pregato che gli si facesse dare onorata sepoltura, rispose il re: “Lo farei volentieri se non fosse scomunicato”. E poichè era scomunicato, re Carlo non volle che fosse recato in luogo sacro.
Giovanni Villani, Nuova Cronica
Ordinate le schiere d’amenduni parti nel piano della Grandetta, il vescovo d’Alsurto, sì come legato del papa, assolvette tutti quelli dell’oste del re Carlo, perdonando colpa e pena, però che combatteano in servigio di Santa Chiesa. E ciò fatto, incominciò l’aspre battaglia da Tedeschi e Franceschi; e non vedendo bene i Franceschi, lo re Carlo si mise al soccorso di loro con sua schiera. Como gli usciti e’ loro compagni guelfi vidono re Carlo fedire si misono appresso, e seguendo sempre la persona del re Carlo. Manfredi veggendo i suoi che non poteano durare a battaglia, confortò la gente di sua schiera che lo seguisse; da quali fue male inteso, però che parte di baroni pugliesi e del regno, cioè il conte Camirlingo e quelli dell’Acerra e più altri, o per viltà, e chi disse per tradimento, si fallirono a Manfredi e abbandoranlo; e fuggirono chi in verso Abruzzi, e chi in verso a Benivento. Manfredi rimase con pochi, pure nondimeno fece come valente signore, che innanzi volle in battaglia morire che fuggire con vergogna. E mettendosi l’elmo, dove era un’aquila di sopra d’arientoper Cimieri, gli cadde in sullo arcione dinanzi; ed egli veggendo ciò, sbigottì molto e disse ai suoi baroni in latino, che gli erano dallato: “hoc est signo dei, però che questo cimiero appiccai io con le mie mani in tal modo, che nonpotea cadere”. Maperò non lasciò, e prese cuore e misesi alla battaglia non con sopra insegna reale, per non essere conosciuto, ma come un altro barone. Ma poco durò che già i suoi erano in volta e furono sconfitti; e il re Manfredi morto ammezzo de’ nemici; ed era già notte; e presono la città di Benivento. E molti baroni di Manfredi furono presi (…) i quali il re Carlo mandò in prigione in Provenza, e là in prigione morirono; e molti altri tedeschi e pugliesi ritenne in prigione in diversi luoghi del Regno. E pochi dì appresso, la moglie del detto Manfredi e’ figlioli e la sirocchia , i quali erano in Nocera d’i Saracini in Puglia, furono renduti presi al detto re Carlo, i quali morirono in sua prigione. E ‘I detto Manfredi si cercò più di tre die che non si trovava e non si sapeva se fosse morto o preso scampato, perche non aveva auto alla battaglia indosso vestimenta reale; e poi per uno rubaldo di sua gente fue conosciuto per più segni di sua persona, in mezzo del campo e puosonlo a traverso in su in uno asino, venendo gridando: “chi accatta Manfredi?”; il quale rubaldo da uno barone del re d’uno bastone fue battuto. E recato il corpo di Manfredi a re Carlo, ed egli fece venire tutti i Baroni eh’ erano presi e domandò a ciascuno s’egli era Manfredi: tutti timorosamente dissono di si. Il conte Giordano si diede delle mani nel volto, piangendo e gridando:”‘oimè, signor mio”, onde molto ne fue commendato da Franceschi; e da alquanti Bretoni il detto re fue pregato gli facesse onore alla sepoltura.
Saba Malaspina, Rerum Sicularum Historia